In uscita il 23 marzo sugli schermi italiani
Luc Besson non si diverte più.
Dopo la serie degli “Arthur” il cineasta ritorna dietro la camera per girare un biopic politico dei più seri e impegnati. “The Lady” parla di un mito vivente: quello di Aung San Suu Kyi, la “signora” che lotta in modo pacifico, ormai da decenni, contro la dittatura del suo paese, il Myanmar (Birmania).
L’obiettivo del film è di scuotere la coscienza di un pubblico internazionale tracciando gli episodi principali del destino contrastato dell’eroina.
Per raggiungere il suo scopo, Luc Besson non esita a forzare sulle note drammatiche. Il regista mostra sia la lotta politica della sua icona, che l’itinerario intimo della medesima, con i figli e un marito condannato dalla malattia.
La tematica è questa: si può sacrificare tutto per un ideale? L’oppressione è più forte dell’amore? Basandosi su questi interrogativi, Luc Besson firma una grande opera cinematografica purtroppo indigesta, una biografia un po’ caricaturale nella quale il pathos occupa una parte preponderante. Ad esempio: il passaggio che riguarda la consegna del Nobel della Pace al figlio di Suu Kyi, assente in quanto agli arresti domiciliari nel suo Paese, é messo in scena in maniera maldestra e troppo patetica. I fatti parlano da sé, inutile sottolinearli.
Risultato: un film piuttosto pesante salvato dal talento degli attori e dalle scene girate di nascosto in Birmania.
Il resto del film é girato in Thailandia, per ovvi motivi di sicurezza, e l’interpretazione di Michelle Yeoh riesce a cancellare (ma non del tutto) lo stile iconografico che potrebbe suscitare un certo sarcasmo e provocare un sentimento di condiscendenza.
L’interpretazione di Michelle Yeoh, quasi una gemella di Suu Kyi, merita un encomio e seduce nei momenti meno attendibili, inserendosi perfettamente nel registro del melodramma.
Rimane, del film, una dimensione romantica della lotta per la libertà, senza dimenticare l’emozione spontanea provocata dalla coscienza di assistere al racconto di una vita eccezionale vissuta da una donna che sta ancora lottando per i suoi ideali e quelli del suo popolo.
Nonostante tutto, le nobili intenzioni del regista arrivano a toccarci nel profondo dell’animo perché lo si sente coinvolto al punto da coinvolgere anche gli spettatori.
E’ comunque doveroso ricordare che John Boorman, con il suo “Rangoon” (1995), ha girato un film molto più valido e ispirato.
Articolo di Manù Selvatico Estense Linardatos – Autore ospite de La Lampadina