Incontro ravvicinato con il grande Eduardo a proposito di fumo…
Roma, Palazzo Venezia, Dicembre 1970
Bruno Molajoli era allora il Direttore Generale delle Belle Arti ovvero, prima dell’istituzione del Ministero per i Beni Culturali, la massima autorità in materia di patrimonio artistico nel Paese e come tale, a titolo di fringe benefit, spettava alla sua famiglia un appartamento all’interno di Palazzo Venezia. Prima di arrivare a Roma a occupare la posizione più alta nel campo delle Belle Arti era stato per anni soprintendente a Napoli, dove aveva acquisito meriti innumerevoli soprattutto ideando e realizzando il prestigioso nuovo Museo di Capodimonte.
Nel lungo periodo della loro vita napoletana lui e sua moglie Elena avevano conosciuto, ospitato e familiarizzato con tutto il mondo che contava specialmente a Napoli e specialmente in ambito culturale. Tra gli altri spiccava il grande Eduardo.
Io come loro giovane amico e amico dei loro figli avevo più volte espresso il desiderio di conoscere Eduardo e una felicissima sera del Dicembre 1970 Elena mi accontentò organizzando una cena con menù prettamente napoletano e Eduardo ospite d’onore.
Eduardo arrivò puntuale alle otto e mezzo.
Naturalmente, ansioso com’ero, capitanai il gruppo di quelli che andarono ad aprire la porta quando suonò. E mi ricordo ancora l’immagine che apparve nel vano, era come se fosse apparso sulla scena a teatro. Siccome faceva freddo, era imbacuccato in un pastrano più grande di lui e la sua faccia unica e inconfondibile sgaiattolava sopra i due revers del pesante cappotto di tweed.
Si tolse il cappello a falda e i capelli gli rimasero un po’ scomposti, con una vertigine che, unitamente al soprabito a crescenza lo faceva sembrare un ragazzino. Un ragazzino con la faccia sofferta. Un ragazzino di settant’anni.
Al suo ingresso in salotto ci fu un grande applauso da parte dei presenti quasi a fargli capire che, anche quella sera, lui era di scena.
La serata corse via in un baleno, almeno per noi; per lui sarà stata uno stress nonostante le salsicce e friarielli di Elena che erano un capolavoro. Io, in particolare, che a tavola l’avevo davanti, non riuscivo a contenermi nell’enumerare tutte le mie passioni: da “Natale in casa Cupiello” (te piace ‘o presepe?) a “La Fortuna con l’effe maiuscola” (chelli ‘e milione teneno ‘na voce …) al “Sindaco del Rione Sanità”, alla poesia di “Vincenzo De Pretore” (s’ha da perde ‘o nomme e De Pretore si nun me sceglio ‘nu santo protettore…) che sapevo a memoria, alla “Mappata” di Salvatore di Giacomo.
Terminate le meravigliose salsicce di Elena, in attesa del dessert che doveva essere un altrettanto meraviglioso babà, mi venne spontaneo mettere la mano in tasca per prendere le sigarette.
E mi venne altrettanto spontaneo offrirgliene una, ma lui disse: “No grazie, ho chiuso!”
“Che vuol dire ha chiuso?” lo incalzai “Ha smesso?”
E lui: “Vede, io tengo ‘na teoria e cioè che ognuno nella vita tene ‘nu numero fisso ‘e sigarette ‘a fumà….io, quel numero l’ho raggiunto qualche anno fa. Io fumavo cento sigarette al giorno….na stecca ‘e Marlbòro me durava doie juorne. Poi, un brutto giorno, mentre stavo sul palcoscenico, in prova, ebbi un malore e caddi per terra. Me so’ scetato ‘na settimana doppo int’a n’ospitale. Sono stato in coma ‘na settimana, forse anche dieci juorne… ma quando me so’ scetato nun tenevo cchiù genio ‘e fumà! Avevo, evidentemente, raggiunto il numero di sigarette che mi toccavano. E non mi è più tornata la voglia.”
Lo ascoltai a bocca aperta, come se fosse stato sul palcoscenico, sotto un proiettore tutto per lui, in una di quelle sue ineguagliabili confabulazioni a solo; per dire queste poche parole, questa breve cronaca di una sua vicissitudine gli occhi si girarono in trentasei direzioni diverse e altrettanto i movimenti della bocca e le guance scavate che scendevano dagli zigomi evidenti. Fu un piccolo spettacolo ad personam.
“La disturba se fumo ?” chiesi
“No, al contrario, me fa piacere vedere quelli che non hanno ancora raggiunto il numero; al contrario se vedo uno nelle mie condizioni, me fa tristezza !”
Poco dopo Elena entrò nella stanza con il babà.
Articolo di Giuseppe Fabbri – Autore ospite de La Lampadina