Un approfondimento a seguito del secondo numero de La Lampadina: una restrospettiva senza sorprese ma sempre emozionante in nome della vita e della morte.
La Tate Modern di Londra in occasione delle Olimpiade del 2012 dedica all’artista britannico Damien Hirst la sua prima retrospettiva, una settantina tra le opere più forti e simboliche, di uno degli artisti più discussi degli ultimi trent’anni. Forse quello che più di chiunque è stato un artista di “brand” corteggiato e ambito dai più ricchi. Visto come un genio del marketing, l’artista più ricco del mondo, con un fiuto commerciale senza pari, è stato capace di lanciare allo stesso momento in tutte le Gallerie Gagosian in giro per il mondo l’en plein dei suoi trecento dipinti di pallini colorati. E’ l’unico ad aver osato sfidare le gallerie organizzando un’asta personale a Sotheby’s il cui risultato è stato valutato intorno ai centoundici milioni di sterline.
Nelle quattordici sale della mostra curata da Ann Gallagher sfilano in buon ordine, uno dopo l’altro, i suoi lavori ben noti. Il suo primo “spot painting” del 1986, le sue vetrine con i medicinali, le famosissime teche con enormi animali in formaldeide, i quadri realizzati con ali di farfalle, con mosche incollate con la resina, il teschio di platino tempestato di diamanti e tante altre opere provocatorie di un Hirst che, con caustica ironia, evoca con il suo lavoro, la vita e la morte. «Life and Death are the biggest polar opposites there are. I like love and I like hate… I like all those opposites. On and off. Happy and sad». Ipse dixit.
Non si può negare che l’enfant terribile della Young British Artists in questi trent’anni di attività è riuscito a creare intorno alla sua inarrestabile energia creativa, sentimenti estremi, grandi polemiche e discussioni senza fine. Con un libro di recente uscita, il critico Julian Spalding, dichiara senza mezzi termini che l’arte di Damien Hirst non è arte e riapre, con le sue critiche, l’eterna polemica sui grandi nomi dell’arte di oggi, approfittando delle voci che parlano del probabile declino dell’artista, per fare sentire la sua infuocata critica.
Che il “Bad boy” abbia forse detto tutto quello che aveva da dire e che preso dal gioco del suo narcisismo artistico, non sia più in grado di stupire e provocare, lo si dice sempre di più. Ma va ricordato che stiamo parlando di uno degli artisti tra i più famosi del mondo che più di chiunque altro ha saputo regalare al suo tempo emozioni e sorprese, è stato capace di dare alle sue opere titoli di una geniale poesia (The physical impossibility of Death in the mind of someone living; lo squalo in formaldeide del 1991), e però, ha lasciato che il tutto fosse velato dalla sua ossessiva voglia di generare denaro.