Un uomo “esagerato”, una voce decisiva nella fine del Novecento
È morto quest’estate, all’età di settantaquattro anni, Robert Hughes. È stato per decenni il critico artistico del New York Times che lo considerava il “più grande critico d’arte al mondo”.
Prima che sia consegnato all’oblio o sbiadita la sua ruggente figura, vorrei ricordare con qualche parola la sua ingombrante personalità che l’ha reso comunque “più interessante e più eccitante di una persona comune”, “larger than life”.
Nato a Sidney nel 1938 emigra nel ’64 per stabilirsi prima a Roma poi a New York. Era un uomo con una scrittura veloce, definita anche succosa e muscolare con uno stile schietto e divertente. È stata usata su di lui nell’arco della sua vita una ricca quantità di aggettivi estremi: “Supponente, sarcastico, a volte maleducato, spesso sgradevole, scandaloso e inaudito”. Ironista fulminante e acre, sapeva detestare, adorare disprezzare ma ha sempre guardato all’opera d’arte come tale, scontrandosi spesso contro la commercializzazione eccessiva dell’arte contemporanea.
È sua la frase sulla famosa opera di Hirst: “..lo squalo più sopravvalutato al mondo… Non è un miracolo che si possa produrre tanto denaro con tanta scarsa abilità?” cui Hirst rispose prontamente “Rembrandt, Velázquez, Goya, penso che tutti siano stati interessati agli aspetti commerciali della loro arte, io credo di agire come ognuno di loro agirebbe, se fosse in vita”.
Amava definirsi “scrittore d’arte” e in quella veste ha sempre difeso la qualità letteraria della critica ingaggiando una battaglia continua contro mode e tendenze.
Lascia di sé una ricca letteratura e anche il ricordo del famosissimo programma televisivo “The Shock of the New” sullo sviluppo dell’arte moderna dopo l’impressionismo, reso eccezionale dalla sua conoscenza enciclopedica e il suo modo di comunicare intelligente, iconoclasta ed entusiasta, ideale per il mezzo. Ne seguirà un libro dallo stesso titolo e un altro“Nothing If Not Critical “ in cui promuove la critica d’arte al grado di autentica letteratura. È suo il libro su Goya del 2005, vari volumi su Barcellona, suo anche il libro “Cultura del Piagnisteo” (The Culture of Complaint-The Fraying of America 1993) in cui contesta la saga del “politicamente corretto” e del vittimismo sociale con estrema lucidità, sempre attualissimo.
È suo infine l’unico avvincente trattato sull’epopea della colonizzazione dell’Australia “La riva fatale” (The fatal shore 1987) che divenne subito un best seller internazionale.
Nel 2002 il suo rifiuto a dirigere la biennale di Venezia fece molto scalpore in Italia. L’invito gli era stato fatto dall’allora sottosegretario ai beni culturali Vittorio Sgarbi, ma lui aveva rifiutato affermando che “La vita è troppo breve per sprecarla con gli indecisi”. L’offerta all’inizio lo aveva reso felice, ma le diatribe lo avevano in seguito amareggiato (New York Post).
Robert Hughes era sicuramente il più impietoso fustigatore degli usi e dei molti malcostumi dell’arte contemporanea ma anche se non condivido molte delle sue spietate considerazioni legate a una visione generalizzante, le sue violenti polemiche sono state utilissime per tenere acceso il senso della critica che rende l’arte di oggi sempre vivo e avvincente.
Non si poteva non rendere onore a questo formidabile personaggio!
Grazie della notizia. Ho letto, anni fa, “La riva fatale” e mi è piaciuto molto, ma del suo autore non sapevo nulla.
Sono felice. Era una figura così forte che andava ricordato. E’ raro trovare personaggi di quella “dimensione”. Spesso scomodo, mai mediocre.