Se ne parla molto, cerchiamo di capire meglio
“Fracking“, “shale“. Nuovi termini, inglesi naturalmente, che probabilmente non avevamo mai inteso fino a ora ma che sono destinati a diventarci familiari negli anni a venire.
Per chi ci segue sulla Lampadina, sia nelle flash news che nel numero di giugno, in un articolo divulgativo sulla energia del pianeta avevamo accennato al “fracking” promettendo di parlarne ancora. Manteniamo fede alla nostra promessa.
Domanda: cosa e’ il fracking?
Risposta : e’ il metodo moderno per estrarre lo shale.
Ottimo! (Detto cosi’ ne sappiamo quanto prima!). Vediamo di chiarire.
Cos’e’ lo shale?
Lo shale gas o gas da scisti bituminosi è un gas naturale fossile formatosi circa 350 milioni di anni fa grazie all’azione di batteri anaerobi ed intrappolato all’interno di particolari rocce argillose chiamate scisti, stratificate orizzontalmente e molto poco permeabili.
Questa particolare configurazione delle rocce rende necessario, per liberare gas in quantità degne di essere prese in considerazione, che nello scisto ci siano delle fratture.
Fino a pochi anni fa, l’unico modo era approfittare delle poche fratture già esistenti, oppure scavare pozzi in senso orizzontale, in modo da aumentare il contatto tra lo scisto e la trivella: il tutto non era economico.
Fino a che non e’ stata messa a punto la tecnica di estrazione detta del hydraulic fracturing o “fratturazione idraulica”.
Questa tecnica consiste nel provocare la frantumazione sotterranea dello scisto mediante introduzione nel terreno, opportunamente trivellato, di una miscela di acqua, sabbia e altri componenti chimici ad altissima pressione. Questo mix rompe le rocce e crea “strade” con una permeabilità maggiore e favorisce la liberazione del gas che può essere convogliato in superficie
La ricerca dei giacimenti di shale ha dato risultati molto incoraggianti.
Di shale ce ne e’ tantissimo (l’Agenzia Internazionale dell’Energia ha recentemente ipotizzato che nel sottosuolo siano intrappolati piu` di 950.000 miliardi di metri cubi (Mmc) di gas non convenzionale di cui 450.000 Mmc di shale gas) ed e’ ubicato in larga misura in zone del pianeta diverse da quelle nelle quali si trova il “gas convenzionale” (Russia, Iran, Algeria, Bolivia).
Nei soli USA ce n’è di più delle loro necessità interne: perciò hanno iniziato a liquefarlo e a esportarlo, con un conseguente effetto di “abbassamento” dei prezzi internazionali.
Dato che siamo tutti ben consci dell’importanza che ha per tutti gli Stati del globo l’approvvigionamento energetico e di quanto il garantire la disponibilità delle fonti influenzi la politica estera, comprendiamo come questa “nuova” fonte energetica metta in gioco interessi colossali, economici e politici.
La battaglia attuale si svolge sulla “sicurezza ambientale”. (Come sapete è il tema della sicurezza ambientale che ha messo “fuori gioco” – almeno temporaneamente – l’energia nucleare).
La domanda cruciale è: questa tecnica estrattiva del fracking è sicura o no?
Perché ci sono delle perplessità. Quali?
In primo luogo questa tecnica richiede un consumo larghissimo di acqua che per circa il cinquanta per cento rimane intrappolata sotto terra insieme ai componenti chimici immessi e a quelli prodotti dalla frantumazione delle rocce. Che possibilità c’è che quest’acqua, prima o poi, vada ad inquinare le falde acquifere dalle quali dipende la nostra stessa esistenza?
In secondo luogo, una parte del gas che si estrae non lo si riesce a “catturare”. Questo significa che viene disperso nell’atmosfera. Ebbene, questo gas, che è per lo più metano, produce un “effetto serra” di gran lunga superiore a quello dell’ormai famigerata CO2!
In terzo luogo alcuni sostengono che queste tecniche di frantumazione possano “indurre” dei terremoti, di non grande magnitudo, ma con i terremoti non si scherza!
Infine con un’utilizzazione in larga scala di questa tecnica si sottrarrebbe terreno all’agricoltura (la stessa obiezione, ed è la più consistente, che viene fatta alla produzione dei bio-combustibili), si aumenterebbe il rumore e il cattivo odore.
Insomma ce ne e’ abbastanza per accapigliarsi.
USA ed Europa stanno imboccando direzioni opposte. Gli USA sono favorevoli, ma questo avviene quasi sempre quando sono in gioco la loro economia e la loro indipendenza, mentre la “vecchia” Europa è più scettica e vuole procedere con i piedi di piombo.
La UE ha ritenuto troppo esigue le risorse di gas non convenzionale rispetto alle esigenze dei paesi membri ed ha appurato attraverso un report del giugno 2011, che l’impatto ambientale delle attività di estrazione è troppo alto anche in rapporto al contributo alla sicurezza energetica che potrà dare. La Francia, seguita dalla Bulgaria, ha proibito l’utilizzo del francking nel proprio territorio. Gli altri paesi della UE non si sono ancora espressi. Le compagnie petrolifere europee, tuttavia, e l’ENI tra queste, non sono comunque rimaste con le mani in mano e hanno stipulato accordi per eseguire ricerche nei diversi territori “promettenti”.
Certo, l’idea di non dover essere legati per i propri approvvigionamenti a paesi come la Russia e l’Algeria; e di poter ridurre la propria dipendenza dai paesi produttori di petrolio, i paesi arabi in primis, fa venire l’acquolina in bocca! Ma quale prezzo siamo disposti a pagare? E chi ci farà conoscere il REALE prezzo da pagare? Quando sono in gioco interessi di questa portata, ahimè è assai difficile conoscere la verità.
Non sono un esperto di petrolio ma sono entusiasta della recente scoperta della fonte alternativa al petrolio arabo. Ma pensate che capovolgimento degli interessi economici del mondo comportera’ lo spostamento del baricentro delle principali fonti energetiche verso territori lontani tra loro, con religioni, etnie e culture diverse? Mi preoccupano certamente i problemi ambientali, ma non credete che “spiazzare” adesso gli arabi non sia una cosa fantastica? Eppoi, tutti lo pensano, ma non lo vogliono dire: sapere che gli USA saranno ancora piu’ autonomi con le loro fonti energetiche in patria, non allentera’ la tensione politico-militare nelle tradizionali aree petrolifere? Spero che l’Europa non si trastulli in discussioni senza fine sul SE, sul MA, sul NI alla nuova fonte energetica, anche se l’articolo,purtroppo, ci da’ conto gia’ delle prime defezioni. Ma forse i francesi o i bulgari preferiscono consumare il petrolio e suoi derivati, a US$ 100 al barile per altri 150 anni!
Grazie delle sempre gradite ed interessanti comunicazioni in tema di fonti energetiche alternative, settore attualmente oggetto di continue ed importanti ricerche.
Al riguardo faccio presente che le energie alternative di cui oggi disponiamo (eolica, solare, ecc…) sono in grado di soddisfare solo la domanda di consumi domestici, settore com’è noto di bassa potenzialità calorica e che rappresenta solo il 35/40% del consumo energetico nazionale. Il resto, ossia circa il 60/65% riguarda i consumi energetici industriali. Questi richiedono – è bene sottolineare- un’alto coefficente calorico che, allo stato, può essere garantito solo dalle seguenti fonti: idroelettrico, gas, carbone, nucleare. Si tenga presente, ad esempio, che un forno per la produzione di cemento (dove avviene una vera e propria trasformazione chimica) richiede una temperatura assai elevata, circa 2500/3000 gradi, che può essere assicurata solo dalle citate fonti energetiche.
Ho voluto sottolineare tutto questo perchè, seguendo da vicino (anche per ragioni professionali) le varie correnti di pensiero sulle tanto auspicate fonti di energia alternative, tema davvero importante per il futuro dell’economia nazionale, mondiale e delle future generazioni, si rischia – anche se in buona fede- di fare grandi confusioni, con conseguenze gravi ed anche imprevedibili sia sul piano produttivo che economico e sociale. Tutti auspichiamo un mondo migliore, un‘aria sempre pura e respirabile, un ambiente pulito sano e confortevole. Ma il cammino verso questi obiettivi, davvero tutti condivisibili, non deve tentarci in affermazioni che non trovano riscontro nella realtà. Pertanto: che continuino le ricerche per individuare fonti alternative per i consumi domestici ed industriali e che sia tempestivamente informata l’opinione pubblica sullo stato di tali ricerche, ma rimaniamo sempre con i piedi a terra, utilizzando cioè quanto la scienza ci mette OGGI a disposizione, pur mantenendo sempre gli occhi aperti al futuro.
Resto sempre in attesa di Vostre comunicazioni.
Tante cose care.
Antonio
Hanno già proposto un collegamento fra il terremoto d’Emilia Romagna e il fracking….
Non abbiamo le vaste quantità d’acqua e di terra come in Canada per poter avvelenare una percentuale non indifferente di questi con l’attività dei tar sands e del fracking!
Quale organizzazione può montare un opposizione a l’attività in Italia? Greenpeace?
Grazie infinite per questo articolo chiarissimo che mi ha permesso, finalmente, di capire perché ci sono tantissime persone contro in famoso gas da scisti bituminosi. Visto quello che ho letto, penso che forse non hanno torto! Ma le altre fonti di energia non sono anche loro pericolose? E allora……ché facciamo? Spegniamo la…..lampadina?
Hai ragione.
Tutte le fonti di energia (e in genere tutte le attività umane) comportano qualche pericolo (naturale o politico). Cito a memoria:
Nucleare: Chernobyl e Fukushima ; Idraulica: Vajont; Petrolio: Kuwait-Iraq; Carbone :San Josè in Cile ecc
La mia opinione – ma magari è totalmente errata – è che la soluzione può venire dall’ imbrigliamento della fusione nucleare.
Ma la cosa è certamente molto al di là da venire