Le case degli artisti, specialmente quando rappresentano un complesso itinerario creativo, una visione che diviene un po’ una Wunderkrammer dell’anima e del fare di chi le ha pensate e realizzate, sono sempre luoghi diversi, evocativi e straordinari. Casa Balla, un patrimonio sorprendentemente ancora integro e nelle mani degli eredi diretti dell’artista, sito in Via Oslavia 39 a Roma, non fa eccezione. Giacomo Balla vi trascorse vari decenni della sua esistenza e vi si spense, il primo marzo 1958, a 87 anni a partire dal 1929, quando approda con la famiglia in quest’appartamento, fortunosamente ottenuto, al termine di una specie di odissea, da un Ente per l’edilizia popolare.
Una Casa quella di Giacomo Balla, progettata e portata a realizzazione come un’opera d’arte unica e totalizzante, un compendio di memorie esistenziali che evocano la necessità creativa dell’artista a caratterizzare ogni singolo elemento architettonico, di arredo, fino agli utensili e ai dettagli più prosaici. Un gioco di specchi e di mille rifrazioni che si dipana lungo una parabola di sfrenata ipnotizzante immaginazione e sperimentalizzazione, una vera e propria utopia domestica. Un flusso di segni e cromie dirompente e vivificante, che tutto investe: pareti, dipinti, arazzi, fantasmagorici pezzi di mobilio nati per trasfigurare il quotidiano, tessuti, grafiche piastrelle di maiolica “costum made”, lampade da muro e a sospensione. Una sarabanda che ruota intorno all’ideale epicentro costituito dal celebre studiolo rosso, affollato di abiti, cavalletti, tavolozze, barattoli, bozzetti, quadri, appunti, pennelli, olii, reperti nobili appartenuti a Giacomo Balla. Una casa che si può leggere quale reazione orgogliosa della perdita sofferta, scioccante per l’artista e per le due figlie adoranti ed adorate, Elica e Luce, della precedente abitazione di Viale Parioli 6, divenuto in seguito Viale Paisiello distrutta nel corso dell’urbanizzazione di quell’area allora verde che doveva diventare il nuovo quartiere alla moda dell’epoca littoria: un abbattimento feroce, insensato di un luogo simbolo di aggregazione del movimento Futurista romano.
Le stanze di Via Oslavia oltre a sancire la continuità del Futurismo nei suoi aspetti espressivi e teorici nell’arco di oltre trent’anni, custodiscono la memoria pulsante di Balla e le delle figlie e sembrano essere congelate da una specie di affettuosa e allegorica possessione: le figlie restarono nubili, vestali totalmente dedite al padre e in seguito al suo magistero. Il corridoio della casa che fende come una drammatica bisettrice architettonica di cui vagamente inquietante la sua volumetria edilizia, è interamente devoluto alla semantica balliana. La casa insomma rigurgita di lavori, opere pittoriche, bozzetti e sculture.
“Casa Balla è un’eredità impegnativa”, sostengono oggi gli eredi, richiede dedizioni e continue cure, che gravano totalmente sulle spalle dell’attuale famiglia. Naturalmente le visite sono permesse a studiosi e accademici, ma di tante ipotesi di cura, tutela e valorizzazione della casa, formulate dalle istituzioni statali e comunali, e dopo tanti ed estenuanti approfondimenti e catalogazioni di ogni singolo pezzo, ormai dopo anni non si è mai arrivato a nulla…
Il suggello di questo racconto non può che essere affidato al demiurgo dell’intera vicenda al geniale Giacomo Balla. “Nel groviglio delle tendenze avanguardistiche futuriste, domina il colore. Deve dominare il colore perché privilegio tipico del genere italiano” 1918 – Manifesto del Colore.
Articolo di Alessandra Rossetti – Autore ospite de La Lampadina
Davvero un grande spreco…
Ho apprezzato molto le foto della casa, vorrei visitarla. E’ possibile?
Ad oggi, dopo quasi vent’anni di assoluta mancanza di notizie sulla gestione e tutela della casa, ancora non emergono notize ufficiali su quale impegno le autorità competenti abbiano preventivato in merito. Casa Balla resta chiusa. In qualunque Paese civile questo scrigno delle meravglie sarebbe stato “notificato” quindi acquistato. Sarebbe diventato un formidabile luogo della memoria. Sarebbe stato restaurato e conservato come la reliquia di un tempo in cui nell’isolamento e nell’indifferenza dei contemporanei, si costruiva il futuro. Con pazienza certosina. Con fede incrollabile.
Invece niente, tutto chiuso a doppia mandata, nessun progetto, solo “memorie” ad uso giudiziario e un tesoro dimenticato al quarto piano del palazzo di Via Oslavia.