Uno strano colore cinereo sempre più aggroviglia articoli di stampa e comuni cittadini. Questa massa informe che si addensa come una nube sulla testa dei lettori di quotidiani trova la sua radice nella più grossa crisi finanziaria di questo secolo: l’uscita dai rotocalchi di notizie sempre più disastrose sta portando a una sorta di inquinamento da over-reading. Quei dati freddi dello spread aggrediscono la gente. E l’abbattimento della politica a suon di martellate inferte dalla Giustizia e dai Tribunali rende permanente l’effetto della crisi.
Titoli a caratteri cubitali sui quotidiani dove si grida allo scandalo, al malaffare, conti allegri nelle amministrazioni, aumenti delle tasse, e divisioni all’interno degli stessi partiti, sono davvero implacabili. Assistiamo al trionfo dell’advocacy journalism, quello cioè di denuncia sociale, dove all’informazione ufficiale si contrappone quella portatrice di una doverosa contro-verità.
Ma tutto questo è solo la cornice. La carta stampata, quel modo di fare del cronista d’assalto, non fa altro che descrivere il contorno di ciò che noi viviamo. Giorno dopo giorno. La scrittura del giornalismo professionale è una sorta di frullatore dove tutto viene rimescolato, uomini, verità a doppio velo e fatti.
Gli strumenti per distinguere l’esterno dal proprio vissuto vengono, invece, da un altro mondo.
Quello della letteratura, della cultura.
La scrittura nei giornali e nel mondo della narrativa ha, in definitiva, due ruoli ben distinti.
Quella poltiglia di numeri e dati segnalati nei quotidiani va sempre decifrata e assorbita. Non basta leggerla.
Il rapporto d’interrelazione tra giornalismo e letteratura del sociale può divenire non solo costruttivo, ma fatto di identità, prestiti culturali ed arricchimento.
Ma una rivalità di fondo c’è. Ed è lo spessore dell’anima che uno scrittore di narrativa riesce a imprimere nelle parole, costruendo un quadro attuale dell’epoca. Dipingendo e colorando i fatti di cronaca, facendoli sfumare, per arrivare a tratteggiare le linee vere della vita di ogni giorno. Nella famiglia, nel lavoro, con gli amici, dentro cioè quelle quattro mura della nostra esistenza.
Così faceva Beppe Fenoglio quando descriveva quell’Italia ancora affamata, da poco uscita dalla seconda guerra mondiale. Non si trovano titoli cubitali e colonne intere dedicate alle indagini della magistratura. Ma il vero tessuto familiare di allora. E il confronto tra le due crisi, quella di oggi e quella di un tempo viene spontaneo, naturale. Per poi spaziare con la mente sino a proiettarsi nel curioso interrogativo di com’era la vita negli anni Cinquanta.
Basta leggere queste righe del suo romanzo “La paga del sabato”:
“Decise di andare a vedere a che punto erano i lavori della fognatura cominciati coi soldi del governo, la sua strada dava proprio sul ramo più avanzato dello scavo.
In piazza Trento e Triste vide i cumuli di terra, gli operai che lavoravano in superficie, le macchine e tutte le segnalazioni di lavori in corso e di interruzione stradale. Si avvicinò e sentì bene l’odore della terra, freschissimo, odore di lombrichi e di fiori marciti, come l’odore del cimitero quando ci andava il due di novembre. Salì su un mucchio di terra e da lassù guardò giù nello scavo, era ben fatto e profondo, gli uomini non ne emergevano che con la cupola dei loro cappelli di paglia.
Uno di quei cappelli si alzò e Ettore riconobbe l’uomo, suo compagno per un anno alle scuole elementari, lo chiamavano tutti Marsiglia perché aveva la fissa di emigrare in Francia e non ce l’aveva mai potuta fare.
Gli andò vicino saltando dall’uno all’altro cumulo di terra.
Marsiglia lavorava nella fogna tutto vestito dal soldato americano.”
Quando l’impressionismo fa rima con neorealismo. Una fotografia perfetta, in bianco e nero, dell’operaio di allora, con un cappello di paglia e una tuta che scimmiotta quella del soldato americano. Con lo stupore di lavori cominciati grazie ai soldi del Governo.
E ancora, il colloquio tra il figlio e la madre
“Poi Ettore domandò: -Dov’è andato il padre?
– Non lo so.
– -È andato all’osteria?
– – Non va mica all’osteria come gli altri tuo padre.
– Sarà andato fin sul ponte a vedere il fiume.
– Come va il padre?
– Va bene di salute, ma si è perduto un po’ nella testa, devo seguirlo passo a passo, come un bambino. Adesso gli è venuta l’idea di avere un cane, vuole tenere un cane, un bastardino qualunque, dice che lui si sente di farsi un bene nell’anima da un cane così.
– Ettore si sentì male al cuore, disse: – Se vuole un cane lo avrà. Glielo cerco e glielo porto.
– – Io non voglio uno sporcaccione di cane in casa mia.
– – Il padre lo vuole.
– Io gli parlo e gliene faccio andar via la voglia.
Ettore disse duro: – Tu non dirai niente e terrai il cane in casa.”
Beppe Fenoglio, La paga del sabato, Alba (TO), Einaudi, 1969.
C’è fusione perfetta tra idea e realtà, e con semplici pennellate di grigio Fenoglio spacca in maniera sincronica, il cuore di due persone, la madre e il padre. E la dignità di una famiglia è raccontata nella sua purezza. Anche crudele. È come vedere una cosa proibita dal buco di una serratura: l’occhio timido puntato su quella piccola strettoia batte più volte, per la sorpresa.
Non altrettanto sorprendente fu la sorte di questo romanzo. È il suo esordio, scritto inizialmente alla fine degli anni quaranta e rivisto nel 1951. Vedrà la luce dopo moltissimo tempo.
Un bagliore di luce postumo, grazie all’intuizione di Calvino. Soltanto tre sono i libri che Beppe Fenoglio ha pubblicato in vita. Muore nella notte tra il 17 e il 18 marzo del 1963. Senza riuscire a vedere la copertina della sua prima opera. Nel 1973 escono addirittura gli Atti del Convegno nazionale di Studi fenogliani.
Oggi, lo spaccato di una vita quotidiana del passato è sospesa nell’aria, tra poesia e verità. Beppe Fenoglio è ancora cronista dell’anima.
Articolo di Alberto Sagna – Autore ospite de La Lampadina
Conosco solo adesso Beppe Fenoglio, confesso di non averne mai sentito parlare prima di questo articolo.
Mi sembra doveroso conoscere una parte della nostra storia da un’altra angolazione e raccontata in modo semplice. Sono le cose semplici, spiegate in modo semplice che ci restano piu’ impresse nella memoria.
Un ringraziamento particolare ad Alberto Sagna, autore meritevole di aver suscitato interesse intorno a questo autore forse poco valutato.
Questo articolo mi ha reso con parole comprensibili ma ricercate allo stesso tempo l’esatta idea di come era l’Italia del dopoguerra….di come era rappresentata nella sua semplicità e nella sua voglia di riscatto. Beppe Fenoglio purtroppo è un autore che conosco pochissimo ma mi ripropongo di colmare prestissimo questa lacuna leggendo proprio il libro citato dall’attento giornalista autore dell’articolo.
I grandi scrittori italiani del passato hanno contribuito con i loro capolavori a fare conoscere alle generazioni attuali un momento preciso della nostra storia ben più incisivamente di ogni altro tipo di comunicazione…..i libri sono testimonianza di un periodo storico….in questo caso un periodo, come il dopoguerra, affrontato dagli italiani con paura ancora sottopelle e speranza timida per il futuro!
Fenoglio è oggi ricordato, dal grande pubblico, soprattutto per il romanzo “Il partigiano Johnny”, invece questo bell’articolo ci fa scoprire anche altro, e quanto questo autore riuscisse a rendere vivo il legame tra letteratura e società… grazie
Grazie per questo bellissimo articolo. E’ vero che la letteratura, meglio del giornalismo, descrive il periodo storico facendo entrare il lettore con l’anima dentro la storia. Quello che viene scritto in un romanzo rimane nel profondo, crea immagini, ricordi, pensieri. Evoca una storia ed un’epoca che, poi, rimangono saldamente nella memoria e possono essere ravvivati ad ogni lettura. Gli anni quaranta raccontati attraverso la vita quotidiana dei personaggi, attraverso i loro pensieri e le loro verità. Anch’io ho letto “La paga del sabato” di Fenoglio e l’ho trovato bello e amaro, ne ho amato la crudezza e la sincerità. Un romanzo ingiustamente pubblicato solo postumo. Grazie per averne inseriti alcuni brani e grazie anche per aver raccontato la storia dell’uscita del libro ed aver ricordato la (purtroppo) breve vita dell’autore che morì troppo presto e senza veder pubblicati molti suoi scritti. Bellissima anche la chiusura “Beffe Fenoglio è ancora cronista dell’anima”. E’ vero.