Articolo di Robin Ancilotto – Autore ospite de La Lampadina
Da quando, nel 2007, mi sono trasferita in Sud Africa, capita spesso che mi venga rivolta la seguente domanda: “Dov’è che ti senti realmente a casa?”. Non accade mai che la risposta si componga di un’unica parola, o piuttosto di un luogo geografico.
Il grande salto lo compi quando lasci il Paese dove sei nato e cresciuto, e inizi un’avventura di cui non hai alcun indizio. Simile al taglio di un secondo cordone ombelicale, ti allontani dal luogo che ha rappresentato il tuo microcosmo per molti anni, per ricercare qualcosa di diverso.
Sia per me che per mio marito, la spinta è nata dalla consapevolezza di vivere in un paese in serie difficoltà, incapace di garantire un futuro ai giovani e, a chiunque, di realizzare il proprio sogno nel cassetto. Posso quindi affermare che, se da un lato la nostra scelta sia dipesa da esigenze personali, dall’altro, essa ha rappresentato un dono importante per i nostri figli, un trampolino di lancio verso una vita ricca di aspettative.
Nonostante il Sud Africa sia un paese splendido da un punto di vista naturale, caratterizzato da un clima invidiabile, e Cape Town una città estremamente cosmopolita, i primi anni hanno rappresentato un periodo molto difficile di assestamento. La casa e la scuola sono state le nostre priorità. Per ragioni di sicurezza, abbiamo scelto di vivere in un Estate a pochi passi da Constantia, sobborgo del tutto simile a una regione vinicola della Francia, con cantine e vitigni disseminati in ogni dove, oltre ad ottimi ristoranti di fama internazionale.
La decisione si è poi, con il tempo, rivelata incredibilmente positiva. Oggi mi rendo conto di vivere in una realtà al confine tra la serie televisiva ambientata in Wisteria Lane e Seaheaven, il quartiere creato ad hoc per il film “Truman Show”. È vero, spesso mancano i contatti con il resto del mondo, con le guerre, con la crisi economica, con le decisioni del G8 e del G20. Ma i miei figli vivono circondati dal verde, non conoscono il significato della parola “‘traffico” o della parola “doppia fila”, ma conoscono il significato della maggior parte delle parole inglesi e ora anche di quelle spagnole (seconda lingua, insegnata due ore alla settimana, dalla prima elementare). Finita la scuola, vanno con gli amici in spiaggia o semplicemente decidono di portare i propri cani a spasso in giro per il comprensorio, parlando degli animali visti durante l’ultimo safari e misurandosi su argomenti quali la geografia, considerando che dividono la classe con studenti di ogni tipo di nazionalità, religione e cultura.
Quindi, una volta risolti con una certa semplicità questi due aspetti, dovevamo organizzare la nostra vita lavorativa e, come ogni emigrante italiano che si rispetti, la prima ipotesi fu quella della ristorazione. Sicuramente una scelta molto più impegnativa di quello che entrambi ci aspettavamo. La sensazione era quella di aver scambiato la famigerata padella con la brace, per cui appena avuta l’opportunità, abbiamo deciso di vendere il ristorante, mantenendo solo l’attività legata al gelato. Questa scelta è stata poi determinante per il futuro di mio marito, ancora coinvolto positivamente in questo business.
Aver comunque condiviso l’ambiente lavorativo è stato uno degli errori che ha contribuito a rendere i nostri primi tempi in Sud Africa piuttosto critici, quindi una volta liberi dal ristorante, ognuno di noi ha scelto un’identità lavorativa indipendente. Nel corso degli ultimi due anni sono riuscita a trasformare la mia grande passione per la lettura e per i viaggi in una professione, scrivendo prima articoli sulle bellezze del Sud Africa per alcune testate italiane, ed in seguito creando una rivista on-line gratuita (www.latitudemag.co.za) per raccontare e far conoscere in dettaglio al resto del mondo le meraviglie del Sud Africa, ma anche per istigare gli stessi sudafricani a viaggiare verso mete lontane e molto ambite, come l’Italia.
Trascorsi oltre cinque anni dal mio arrivo a Cape Town, posso finalmente affermare di aver trovato sia per me che per il resto della famiglia una dimensione stabile e rassicurante, e di aver costruito qualcosa di concreto che oggi mi lega profondamente a questa terra straordinaria. Volendo però tornare alla domanda iniziale, ovvero dove mi sento a casa, purtroppo la mia risposta non è né l’Italia né il Sud Africa. Per molti che, come noi, lasciano il proprio paese per nuovi orizzonti, la casa è simbolicamente raffigurata dalla famiglia che hai creato e che ti ha seguito in questa scelta. Per questo motivo ogni legame si amplifica ed è ancora più importante crescere e camminare insieme guardando verso la stessa direzione, possibilmente da una spiaggia a nord di Cape Town, verso l’incredibile Table Mountain durante il tramonto.
Robin Ancilotto
Robin, sono “inciampata” in questo articolo e… ti riconosco….la tua voglia di avventura, la tua determinazione e la tua razionalità fusi insieme con grande armonia brava!! ti ricordo sempre con affetto la tua prof.
In questo numero sono stata attratta immediatamente dal primo articolo, CAMBIO VITA IN SUD AFRICA, perchè sicuramente sono incuriosita e affascinata dalle persone che lo fanno. E probabilmente perchè per noi che “rimaniamo” è una dimensione onirica che ci fa fantasticare, su come sarebbe la nostra di vita, se facessimo il salto.
Lilli
Cara Robin, mi ha fatto tanto piacere ritrovarti nella “lampadina”; non sapevo nè che ti eri sposata e neanche che stavi a Cape Town…Sono d’accordo con te che il Sud Africa è bellissimo e Cape Town è fantastica! Il quartiere dove abiti lo conosco e la tua descrizione è esatta.
Però la prima impressione che ho avuto arrivando dall’aeroporto, è stata di una immensa povertà, con chilometri e chilometri di bidonville ….un abbraccio e auguri
Simonetta Hausmann
Ciao Simonetta, grazie per il tuo messaggio. Hai ragione, il Sud Africa e’ un paese dai forti contrasti, spesso anche tristi. A presto spero. Robin