Parigi, Grand Palais (dal 10 marzo al 22 luglio 2013)
Articolo di Luciano Berni Canani – Autore Ospite de La Lampadina
Questa mostra è uno spettacolo!
Per le dimensioni (oltre 200 opere di 140 artisti, di 30 nazionalità diverse; distribuite su 3.700 mq. dei 72.000 totali del Grand Palais), per l’organizzazione (due Sezioni principali Spazio e Visione, suddivise in sedici sottosezioni, più due unità più piccole Contemporanei e Pionieri, che fanno da introduzione e conclusione dell’esposizione; proiezioni, conferenze, incontri con gli artisti, audio-guida in almeno cinque lingue, applicazioni per iPad, catalogo esaustivo e molto ben curato, documentazione, ecc.) e soprattutto per le opere e per le installazioni esposte, che sorprendono, attraggono, stimolano la percezione, attraverso strutture vibranti, giochi di specchi, pulsazioni luminose, interagendo, in un rapporto attivo, con lo spettatore.
Si tratta di Arte Cinetica, corrente artistica che, volta a introdurre nelle opere d’arte la quarta dimensione, il tempo, attraverso il movimento fisico o virtuale, tra il 1957 e il 1968 si propagò fino a diventare di moda in Europa occidentale, negli Stati Uniti e in America Latina, per poi cadere nell’oblio ed essere riscoperta solo una quindicina di anni fa. Spesso chiamata “Op art” (a seguito di una mostra ormai storica, “The Responsive Eye”, al MOMA di New York, nel 1965), divenne molto “in” e influenzò moda (Courrèges), design, cinema (Henri-Georges Clouzot tra i primi), negli Anni Sessanta.
La mostra non ripercorre la storia di questa corrente artistica; le opere sono raggruppate in maniera trasversale e tematica, proponendo al visitatore un viaggio all’indietro, attraverso le singole individualità degli artisti che hanno determinato questa tendenza fondamentale, insieme con personalità di livello mondiale (Anish Kapoor, Dan Flavin, Kenneth Noland, Frank Stella) e altri ancora, presenti con opere testimoni tuttavia soltanto di una temporanea affinità con le ricerche effettuate, invece con costanza, dagli artisti Optical-Cinetici.
Il percorso tematico della mostra non pone in rilievo i principi rivoluzionari e le istanze sociali in cui, negli anni Sessanta, credevano questi artisti: il rifiuto dell’opera unica (moltissimi i multipli editi in quegli anni dalla Galleria Denise René di Parigi), l’economia di mezzi, l’utilizzo di un vocabolario geometrico e di materiali industriali.
Fatta esclusione del GRAV di Parigi, di Zero di Dusseldorf (ciascuno con una sua sala), e del MID (“Movimento Immagine Dimensione” di Milano), con un grande disco stroboscopico (purtroppo in posizione defilata), nella mostra non sono nemmeno citati gli altri Gruppi che diedero origine a questa tendenza tra il 1957 e il 1960 (N a Padova, T a Milano, NUL in Olanda, Dvizhenje a Mosca e Anonima a Cleveland), pur essendo rappresentati –debolmente- solo alcuni degli artisti che ne fecero parte.
Di Le Parc (argentino di Parigi) sono esposte otto opere e di François Morellet sette; mentre giganti dell’arte optical-cinetica, come Frank Malina, Almir Mavignier, Hugo Demarco, Peter Sedgley, Yvaral e altri sono presenti con una o due opere, non sempre delle migliori. Lo stesso destino è riservato ai nostri Precursori: di Bruno Munari è visibile una “macchina inutile” del 1945, rifatta nel 1995 e di Giacomo Balla, una “compenetrazione iridescente” del 1912, poco rappresentativa del rilievo storico che per l’arte cinetica ha avuto il primo Futurismo (di Boccioni non vi è traccia !).
Diverse le presenze poco giustificate e molte le assenze clamorose, tra queste ultime: gli italiani Alberto Biasi, Manfredo Massironi, Edoardo Landi, Ennio Chiggio (tutti del Gruppo N di Padova), Enzo Mari, Nino Calos, Marcello Morandini, Paolo Scirpa, oltre a tanti altri artisti, altrettanto di rilievo nel panorama cinetico internazionale (a solo titolo di esempio: Joseph Anuszkiewicz, Ed Sommer, Chryssa).
Messe da parte comunque le riserve di carattere filologico, la mostra (curata da Serge Lemoine, Professore emerito alla Sorbonne ed ex Direttore del Museo d’Orsay di Parigi) è senz’altro la più importante realizzata su “luce e movimento” negli ultimi cinquanta anni, ed è bella da vedersi.
Si inizia con Voltes III (2004), una gigantesca installazione di neon bianchi in rapidissimo movimento dello svizzero John Armleder, quindi con Rotating labyrinth (2007) del quarantenne danese Jeppe Hein, installazione, dove cerchi concentrici di specchi rotanti fanno continuativamente confondere lo spazio reale con il suo riflesso e si conclude con i Precursori (tra cui Duchamp, Gabo, Moholy-Nagy, Pevsner e Calder, con opere degli anni 1910-1940).
Tra questi due estremi, le straordinarie invenzioni, spesso ipnotizzanti, di Le Parc, Brigit Riley, Vasarely, Tadasky, Tinguely, Pol Bury, Gianni Colombo, Jesus Rafaél Soto (con un “penetrabile blu” del 1999, da attraversare, come vuole l’arte partecipativa da lui predicata), Paul Talmann, Cruz-Diez e tanti altri, tra cui Enrico Castellani, con un’incredibile opera optical, del 1961.
Tutte e 16 le sottosezioni della mostra sono costruite su opere talora straordinarie: insomma, la mostra è da non perdere (anche perché, a credere alla statistica, per visitare la prossima di questo livello, potremmo dover attendere…altri 50 anni). Fino al 22 luglio 2013.
Luciano Berni Canani