Articolo di Marco Sbernadori – Autore Ospite de La Lampadina
E’ ancora possibile gareggiare con speranza di vittoria senza doparsi? Dov’è il limite?
Vincere è bello ma nello sport come a volte nella vita può essere drammatico perché nelle discipline più conosciute arrivano soldi e notorietà ma scendere dal piedistallo è a volte insopportabile. Per conquistare un podio olimpico o mondiale non bastano le qualità fisico-attitudinali di un atleta ma serve totale dedizione, anni di duri allenamenti e sacrifici, solo per mettere a punto un gesto, migliorarne di un centesimo la reattività, potenziarne le capacità muscolari e aerobiche e lavorare sulla forza della mente senza la quale campioni non si diventa. Ma spesso, forse troppo spesso, la voglia matta di diventare il migliore e di conquistarti anche economicamente un posto al sole trascina gli atleti in teatrali, tristi e tragiche storie.
Il volo di Marco Pantani vincitore di un giro d’Italia e di un Tour de France accusato di doping si è interrotto per un’overdose (!?) in uno squallido alberghetto di Rimini, quello di Marion Jones stella della velocità americana finisce nel 2006 dopo aver vinto titoli mondiali ed olimpici. Accusata di doping ne esce male e viene condannata a sei mesi di carcere e a 400 ore di servizi sociali per aver mentito ai giudici che indagavano sull’affare BALCO (Bay Area Laboratory Co-Operative), azienda made in USA coinvolta nei grandi casi di doping degli ultimi vent’anni.
Di Lance Armstrong, al quale sono state revocate le vittorie dei suoi sette Tour de France, i fatti sono noti e più recenti. L’atleta ha pagato di fronte alla giustizia sportiva ma legalmente non è ancora fuori dai guai perché quella americana potrebbe chiamarlo in causa per frode alla US Postal, sponsor della sua squadra, l’agenzia governativa responsabile del servizio di posta negli Stati Uniti.
Il Doping sportivo prolifica, gli interessi economici e politici sono enormi ma anche quelli degli organi di stampa o televisivi non sono da meno: c’è la necessità di creare miti e icone alla disperata ricerca di visibilità e di consensi in un sistema che non perdona…oggi sei sul trono domani con il sedere per terra.
Ma non essendoci mai fine al peggio ecco che scatta l’emulazione e sono in molti tra dilettanti e amatori, i numeri fanno paura, che a immagine e somiglianza dei loro campioni vogliono essere vincenti e non si accontentano di partecipare ma, anche a cinquant’anni, vogliono battere l’amico, essere i migliori nelle loro specifiche categorie d’età. Scatta così il “doping fai da te” mettendo ad alto rischio salute e vita.
I palestrati sono poi i più a rischio perché non basta sollevare pesi per muscolarsi, qualche aiutino ci vuole e trangugiano beveroni e pillole a gogo.
Ci sono poi intere schiere di spacciatori medici, preparatori e allenatori che per interesse alimentano il doping vendendo EPO, un ormone che prodotto in laboratorio permette di aumentare fuori misura il trasporto di ossigeno ai tessuti muscolari e cardiaci, ormoni della crescita, anabolizzanti e sacche di sangue rigenerato per le emotrasfusioni.
Ma il doping non è cosa di oggi, arriva da lontano. Dopati lo erano sicuramente i gladiatori; a fine del Novecento Artur Linton morì in Francia durante una corsa ciclistica e la vittoria mancata di Dorando Pietri alle olimpiadi di Londra nel 1908 ha lasciato comunque qualche sospetto ma erano fatti abbastanza sporadici mentre oggi è un sistema pianificato negli anni a supporto di duri allenamenti.
Nelle storie di doping forse le più drammatiche sono quelle della DDR, un paese di sedici milioni di abitanti che alle Olimpiadi di Montreal ‘76 vinse più medaglie degli Stati Uniti, allora unico gigante dello sport mondiale. Qualcuno ci lasciò la pelle, Heidi Krieger, lanciatrice del peso ha cambiato sesso, ma non è la sola. Per qualche nuotatrice, stando ai si dice, pianificavano delle gravidanze per farle arrivare ai grandi appuntamenti mondiali nei primissimi mesi di gestazione con il risultato di migliorare il galleggiamento (?) creandole vincenti ma lasciandole segnate per la vita, i mitici Roland Matthes e Kornelia Ender, nuotatori dai molti primati, furono costretti a sposarsi in attesa di una nuova razza targata DDR…per fortuna crollò il muro di Berlino. Ma forse il doping di stato non è mai finito e i risultati complessivi di qualche nazione non convincono.
Che fare? La lotta al doping è stata lanciata e in alcuni sport come l’Atletica Leggera ci sono record fermi a venti o a trent’anni ma ancora molto è nell’ombra se qualche velocista o lanciatore vengono ancora trovati positivi.
Molti sport mancano ancora all’appello: il Tennis e il Calcio tra i primi, ma non ultimo è, come sempre, il ciclismo che presenta Chris Horner, 41enne americano, fresco vincitore della Vuelta…con qualche lecito dubbio!
Forse il passaporto biologico, che consente di tracciare nel tempo i parametri “ematici” dell’atleta, lanciato e promosso dalla “WADA” (World Anti-Doping Agency) sarà la soluzione ma gli alti costi di gestione ne sono certamente un limite e se sarà possibile farlo per i professionisti, cosa fare per chi fa doping nei settori più amatoriali? Ma qui forse non c’è risposta.
Consola che i praticanti sportivi amatoriali degli ultimi anni siano nati in una cultura diversa dove lo sport è associato al benessere e alla forma fisica e il doping viene vissuto per quello che è: una truffa.
Marco Sbernadori