Al Pincetto di Roma. Nell’antico cimitero romano nel piccolo colle pieno di verde e di alberi. In una piccola radura si apre di colpo una visione diversa da quanto visto precedentemente. Angioletti sorridenti che con le piccole ali avvolgono in un abbraccio protettivo il defunto, per confortarlo e rassicurarlo in un passaggio che comunque si pensi è un passaggio traumatico, immagini sacre di quanti forse ci aspettano lassù, madonnine bellissime…..
No, tutto questo è cancellato.
Sopra un’enorme parallelepipedo marmoreo, sdraiato sul fianco reggendosi a fatica su un braccio, un enorme angelo in bronzo. Proporzioni già di per sè inquietanti. Un’ala immensa diritta e altissima verso il cielo. L’altra piegata a coprire il volto dell’angelo che non vuole vedere, non vuole sapere, non vuole assistere e in qualche modo, il suo modo, si protegge. Perché questo angelo non ha la forza di consolare, di proteggere, di rasserenare: solo è colmo di un dolore e di una disperazione che è stato il dolore e la disperazione del suo protetto: un suicida che lui, suo angelo custode, non è riuscito a salvare.
Quale abisso di dolore, di incomprensioni, di solitudine quale buco nero nella sua anima lo avrà talmente scoraggiato da averlo spinto ad un gesto così estremo? Quante sere o notti a pensare a occhi sbarrati nel buio prima di affrontare un gesto così definitivo. Quanti cari lasciati nello sbalordimento stupefatto di chi nulla del genere si aspettava in un’apparenza tranquilla.
La vita è un dono di cui ognuno renderà conto, cita il cattolicissimo Manzoni nei Promessi Sposi, ma anche i doni a volte possono trasformarsi in un impegno insopportabile e gravoso che non tutti hanno la forza di ricevere.
In un piccolo cimitero di paese, una cappella.
Per altro verso stupefacente.
Da sotto un arco di ferrovia irrompe una locomotiva con il fumo nero che sbuffa. Irrompe veloce di traverso e sotto di lei una moltitudine di gente operosa. Un operaio porta sulla schiena le traversine, una donna porta una brocca di acqua, un operario con la mazza ha ancora ai piedi le cioce con cui è arrivato appena dalla campagna. C’è un angelo, ma ha il compasso, ed in mano una planimetria.
In mezzo a questa moltitudine Lui:l’ingegnere a cui la cappella è dedicata. Ben vestito, in mano il rotolo di carte.
Una vita operosa, un lavoro importante, tante persone salvate da una vita difficile in campagna. Edifici, teatri, scuole che portano la sua firma.
Alla sua scomparsa tante persone riconoscenti, tante opere che attestano la sua frenetica incessante attività, tanti eredi grati e riconoscenti. Una cappella per un defunto che si trasforma in un inno alla vita.
Due vite così diverse ma comunque due vite