Circa il simpatico articolo di Marguerite de Merode sull’arte astratta.
Articolo di Marina Patriarca – Autore Ospite de La Lampadina
Incominciare dalle origini è una premessa sempre validante: sono veramente così lontane le origini? Noi non siamo forse poi così “avanti” come si è genericamente portati a pensare. “Ars”, già per i latini stava ad indicare una’attività produttiva. In sanscrito “Are” vuol dire ordinare ed anche nel greco termine “τέχνη” (Tecne) si parla della capacità di fare qualsiasi oggetto: utensile, immagine di una cosa o stessa cosa ma anche riprodotta con mezzo di argilla o pietra, dipinta, o solo forgiata, colorata o appena accennata come idea di un pensiero, effigie, semplice segno, dono, oggetto fetish e spesso religioso.
In Cina l’ideogramma che indica la parola tecnica è un preciso simbolo di crocevia che significa cammino- strada-comunicazione.
Quando il visitatore più o meno occasionale o assiduo che sia, il simpatizzante o praticante dell’arte davanti a un lavoro di Cy Twombly o di Fontana , a un cretto di Burri ed altra opera del genere esclama: -“Lo posso fare anche io, e persino un bambino lo può fare“ – il commento, del tutto spontaneo che sia, non si può dire che sia “sbagliato” ma è semplicemente come fare un giocoso buco nell’acqua corrente. Asserire pur legittime reazioni può confondere una reale messa in luce del tema Arte; quelle opere che nel simpatico articolo di Marguerite de Merode, vengono indicate come arte astratta e non figurativa, provengono da un esteso viaggio fra miriadi di movimenti qui non elencabili, il viaggio inizia fin dai primordi dalle autentiche primissime e origini del tempo e su per molteplici particolari movimenti; nei casi più vicini a noi, dalla grande rottura dei pittori impressionisti all’espressionismo messo al bando dal nazional-socialismo come “arte degenerata“ saltando, così per sveltire l’elenco, all’’action painting e poi all’arte povera, ai vari gruppi come il Cobra, il Dada, Picasso e il Cabaret Voltaire fino al Dripping o al Gutai, giù giù e su su fino alla Pop, al Tachismo, al Minimal etc.
Tutti movimenti definiti “informali” ossia meno godibili (fruibili) dall’uso abituale del nostro sguardo immediato, arte perciò definita “non retinica”. Meritano questi tutti una accurata indagine sul clima dei momenti in cui erano nati e vissuti, climi e atmosfere che appena ci danno uno spiraglio per intuire quanto il tema della visione artistica, proprio per la sua complessità, permane per sua natura sfuggente proprio per le intime verità di ogni excursus di queste opere nella storia. Percezioni visive di una memoria permanente che attingono a climi e momenti -specchio di precisi periodi –a volte riemergenti nei nostri stessi anni.
Esiste, e ben venga, la ben nota area di “mercificazione” dei lavori dell’arte che si adegua al passo del nostro presente sistema, o parasistema per così dire, del consumo, delle mode e delle tendenze, siamo o no contemporanei? E cavalchiamo la tigre dell’arte contemporanea. Conserviamo tuttavia occhi aperti come l’assiduo praticante. E’ di noi che l’arte sta parlando, siamo raffigurati, descritti dipinti o a volte sberleffati, contraddetti nei nostri miti di ben essere o ben pensare.
Ringrazio Marguerite per avere sollevato la questione e mi sento di dire che nell’irrequieto binomio astratto-figurativo è contenuto l’interessante quid del fare-comprendere-guardare- pensare l’arte – le tendenze, il mercato, le mode, il tam tam pubblicitario rappresentano dell’Arte appena i cascami e mai certamente la sua autentica sostanza-.
Leggendo W.Kandinsky – nel suo “ Lo spirituale dell’arte”…
…Capisco come a molti, può apparire chiaro che se molto di spirito è fatto l’uomo assieme all’artista-uomo, tutta l’arte tende e rivela astrazione.
Bell’articolo, finalmente una persona che ha il coraggio di parlare di Arte con la A maiuscola. E che ne parla con una profonda conoscenza. Credetemi non è’ da tutti. Grazie