VOCI DALLA TRINCEA
Nel Centenario della Grande Guerra:
onoriamo il passato, riflettiamo sul presente e costruiamo il futuro
Domenica 24 maggio 2015 – ore 17,00
TEATRO QUIRINO – Vittorio Gassman
via delle Vergini, 7 – Roma
Programma
Ass. Uniti nella memoria:
“Spero che io torni presto!”
Rappresentazione teatrale con ricostruzione della vita in trincea
Coro A.N.A. – Ass. naz. Apini di Novale:
Canti e canzoni dal fronte
Fanfara Ass. Naz. Bersaglieri di san Donà di Piave:
Marce e inni d’Italia
CENT’ANNI FA, IL 24 MAGGIO, IL PAVE MORMORAVA…
Sono fra pochi giorni esattamente 100 anni dall’entrata in guerra dell’Italia, una guerra che cambiò profondamente il paese e il mondo, ed è giusto ricordare gli eroi che si batterono pro o contro la loro volontà, ma che furono decisivi in quell’inutile spargimento di sangue che portò alla perdita di moltissimi valorosi uomini e ragazzi. È giusto ricordarli affinché il loro sacrificio non sia stato vano, cosicché noi tutti possiamo capire che la guerra porta solo sconfitta e perdite umane e vanno quindi evitate e stroncate sul nascere.
Ma chi furono per la stragrande maggioranza questi ragazzi italiani che Il 24 maggio 1915 parteciparono alla prima Guerra Mondiale? Gli alpini occuparono dal passo dello Stelvio alle Alpi Giulie, passando per il Tonale e il monte Pasubio e parteciparono alle più dure battaglie, come quella dell’Ortigara – con la conquista dell’omonimo monte-, la disfatta di Caporetto, fino alla resistenza sul monte Grappa e la controffensiva finale del generale Armando Diaz, che portò alla vittoria dell’ottobre 1918. Gli alpini furono, infatti, i veri protagonisti e lo testimoniano tristemente gli oltre 85.000 morti e dispersi e gli 83.000 feriti. Non fu quindi solo il caso a volere che il primo caduto italiano sia stato proprio un alpino della 16ª compagnia del battaglione Cividale, 8º Reggimento, di nome Riccardo di Giusto e appena ventenne, il quale poco dopo la mezzanotte del 24 maggio – mentre varcava la frontiera sul monte Natpriciar, davanti a Tolmino – fu freddato da un austriaco.
La 6ª Armata italiana schierò 114 battaglioni di fanteria, 22 di alpini e 18 di bersaglieri, per complessivi 154 battaglioni (ai quali vanno aggiunti 10 del genio e i vari reparti mitraglieri, servizi e artiglieri) per complessivi 300.000 uomini. Attori con gli alpini di imprese straordinarie e dolorose furono anche i bersaglieri: corpi entrambi che occupano da sempre uno spazio particolare nel cuore degli italiani!
Formatisi il 15 ottobre 1872, gli Alpini sono il più antico corpo di fanteria da montagna attivo nel mondo e, come per i Bersaglieri è il piumetto, così il cappello con la penna alla sinistra è il loro elemento più rappresentativo. Ma è da sempre anche stato facile associare l’alpino al mulo e questo sodalizio è durato ben 130 anni! Ma a dire il vero i muli furono arruolati ancor prima degli alpini, perché già dal 1831 nell’esercito del Regno di Sardegna furono costituite le prime batterie da montagna dotate di cannoni smontabili per il cui trasporto furono impiegati 36 muli. Il loro scopo era quello di alleggerire il soldato dal peso che altrimenti avrebbe dovuto portare a spalla e il loro legame si consolidò proprio durante la Grande Guerra e divenne un binomio inscindibile perché insieme agli alpini i muli patirono il freddo, la fame e la fatica.
Ma alla Prima Guerra Mondiale, come già detto, parteciparono anche i Bersaglieri, una specialità anche questa di fanteria, costituita da Carlo Alberto di Savoia nel 1836 su proposta di La Marmora e dalla quale nel 1898 si formò il Corpo dei bersaglieri ciclisti. Era infatti nata la bicicletta e un giovane meccanico milanese, Edoardo Bianchi, fu fra i primi ad intuirne le enormi possibilità di mercato. Se il Corpo dei Bersaglieri, era stato voluto da La Marmora come una fanteria agile, facile e veloce a spostarsi e a colpire, equipaggiare i fanti piumati di bicicletta significava infatti decuplicare la loro funzione tattica! Le esercitazioni imposte dagli istruttori non ammettevano eccezioni: 110-120 chilometri al giorno alla media di 15 chilometri l’ora, su una bicicletta che pesava, da sola, 26 chili e che, per i mitraglieri, arrivava a oltre 40 chili. La bicicletta da Bersagliere era, non dimentichiamolo, una bicicletta del tutto particolare: si trattava di un telaio pieghevole e, allentando pochi morsetti, il mezzo veniva agevolmente piegato in due e, con appositi “spallacci”, collocato sulle spalle in pochi secondi.
Di Enrico Toti conosciamo soprattutto un’immagine, quella che lo vede ritratto nel mezzo di una battaglia mentre, pochi attimi prima di morire, scaglia la stampella contro il nemico. Ebbene, nonostante la menomazione fisica a causa della perdita della gamba sinistra, era un instancabile ciclista al punto che con l’entrata in guerra dell’Italia nel 1915, decise di arruolarsi e – nonostante il respingimento a tutte le sue richieste – decise di partire da solo per il fronte, anche questa volta in sella alla sua bicicletta. Arrivato a Cervignano del Friuli fu prima destinato ai “servizi non attivi” in qualità di volontario, e solo l’anno successivo trasferito nei bersaglieri ciclisti dove, il 6 agosto del 1916, durante la battaglia dell’Isonzo venne ferito a morte e dove lanciò la stampella verso l’avversario.
Giulia Pasquazi Berliri