In questa lunga estate calda, vi proponiamo due libri:
“GLI ADDII”
di Juan Carlos Onetti
Di Onetti e dei suoi addii ce ne scrive Augusta Zeppieri di “UMDL – Un Mercoledì Da Lettori”, libera unione di lettori che a luglio ne ha discusso nella sua riunione mensile.
“STORIA VERA E TERRIBILE TRA SICILIA E AMERICA”
di Enrico Deaglio.
Di Deaglio e del suo libro ce ne parla Carlotta Staderini Chiatante della nostra Redazione.
Trovate le recensioni una di seguito all’altra… Buona lettura!
“Gli Addii” (Titolo Originale “Los adioses”)
di Juan Carlos Onetti, 1954
Traduzione: Dario Puccini
Casa Editrice: Sur
Pubblicazione: aprile 2012
Pagine: 131
Libro duro e grande come un macigno, “Gli addii” di Juan Carlos Onetti..
La storia di un uomo incredulo e arreso, disinteressato e nemico senza orgoglio della pietà, giovane e però malato e ricoverato in un’imprecisata località di montagna dove si muove, tra l’albergo/sanatorio e una bella villa presa in affitto, felpato e distaccato. Al suo fianco si alternano due presenze femminili, che arrivano e ripartono con l’inesorabilità silenziosa dei destini irrisolti. Nelle chiacchiere del paese l’intreccio è tanto chiaro quanto scandaloso, nel garbo riservato dei protagonisti senza nome le vite sono compenetrate e impastate di una passione che è silenziosa e drammatica.
Storia, in realtà, di pochi mesi di vite e di retrospettive ellittiche: così mi viene da condensare le vicende raccontate in questo breve romanzo.
Flashback e flashforward, direi con necessario anglismo cinematografico. Ma all’autore basta una sola parola, un avverbio – per esempio – sapientemente inserito nella frase, per saltare da un piano temporale a un altro, magari non troppo lontano – e l’effetto non è mai quello del taglio improvviso e dello spiazzamento del lettore ma un passaggio continuo, uno scorrimento di immagini in chiave poetica.
Mi pare che la scelta dell’autore sia raccontare/costruire paesaggi dell’anima e non fisici. Tutto nella pagina, anche la descrizione dei luoghi, è ritratto psicologico. Questo è il pregio e la difficoltà del libro, credo. Si trascorre continuamente dal racconto “giornalistico” dei pettegoli testimoni oculari (infermiere, cameriera) a quello di un io narrante fintamente concreto (titolare del negozio), che vede nel presente e nel futuro, vede inspiegabilmente anche nel passato (dell’uomo senza nome, delle sue donne misteriose) e che è in realtà vero meccanismo narratore, onnisciente.
Questa interazione fra una e altre voci crea il movimento narrativo. Fino alla rivelazione finale, che riavvolge il nastro a una velocità cui il racconto NON ci ha abituato.
I personaggi sono senza nome – solo alcuni comprimari ne hanno uno. Sembra proprio che l’uso della nominazione sia inversamente proporzionale al peso del personaggio nel racconto. Di queste creature non conosciamo le storie, le vicende di vita, i perché. Di loro vediamo svolgersi i drammi personali generati da un passato sconosciuto, pietrificati in un’attualità astratta. Entrano in scena di spalle (la donna) o ‘di mani’ (l’uomo) o a pezzi – la sottana una scarpa un lato della valigia – (la ragazza) e a questi ingressi trasversali seguono descrizioni poderose.
Gli addii sono lettere vergate a mano con scrittura tonda femminile o scritte da una macchina rudimentale, sono gli incontri e le separazioni che come in una ronde tragica si susseguono nella storia, fino all’addio finale, recitato da corpi – immobili perché senza vita oppure perché segnati dal dolore o dalla rassegnazione – senza battute. E anche questa volta l’immobilità è il suo contrario, espressa con un linguaggio straordinariamente drammatico (e cioè dinamico): il corpo dell’uomo è un “insieme inopportuno, furiosamente orizzontale, di scarpe pantaloni e lenzuola” mentre la ragazza che lo piange è “senza lacrime, accigliata…decorosa, eterna, invincibile mentre si preparava già a qualsiasi altra notte futura e violenta”.
La lettera finale è quella che svela al narratore e a noi le relazioni, fino a quel momento sconosciute eppure sbrigativamente attribuite dal pettegolezzo locale, tra i protagonisti. Questa lettera, autentico snodo del racconto, rimette le cose a posto, almeno nella banale considerazione dell’opinione pubblica. Ma sicuramente rivela, a fine romanzo, il cuore della storia. Un gioco delle parti? Non proprio. Una morale poetica sulle verità relative? Non solo.
Da Akutagawa a Pirandello a De Filippo a Barlow, la realtà ha mille racconti, la verità si modifica nelle prospettive, eppure non mi pare questo il senso dell’enigma al centro del romanzo di Onetti. A me è arrivata una meditazione malinconica e disincantata su tutto il carico sentimentale che c’è nella comunicazione non verbale, negli equilibri e nei vincoli tra le persone, nel destino cui andiamo incontro a volte con o per indifferenza e nella magia e poesia che sempre si annidano nelle pieghe delle relazioni tra esseri umani, quando c’è una grande scrittura che ce le rivela.
Augusta Zeppieri
Se volete approfondire la biografia, le opere e tutto il mondo di Onetti, andate in questa pagina, vi troverete moltissime recensioni.
“Storia vera e e terribile tra Sicilia e America”
di Enrico Deaglio
Sellerio editore Palermo
Pagine 224
Questa è un’inquietante storia che si svolge nel 1899 a Tallulah, un villaggio della Louisiana.
Cinque emigranti siciliani di Cefalù commercianti di frutta furono appesi ad un albero una sera di luglio del 1899 davanti ad “una folla ordinata”. Il motivo: una capra di uno dei siciliani, aveva sconfinato e disturbato un dottore. Ci fu una sparatoria ed il dottore fu ferito.
Un orribile linciaggio collettivo: cinque morti, nessun colpevole. Una storia di brutalità, ignoranza e soprattutto razzismo che Deaglio racconta attraverso i documenti dell’epoca.
Il singolo episodio di questa “storia” si rivelerà molto più grande e terribile ed è rivelatore di una dinamica storica e sociale. Non è solo uno specchio di come venivano considerati gli immigrati provenienti da meridione. Dopo l’unità d’Italia, ci fu un accordo tra Italia e Stati Uniti; l’accordo prevedeva che migliaia di braccianti siciliani, che vivevano in grande miseria in Sicilia dove la promessa di Garibaldi di avere terra e giustizia, era stata repressa nel sangue dai Savoia, venissero incentivati ad emigrare negli Stati Uniti. L’ondata migratoria fu incentivata in base ad accordi precisi tra la Louisiana Planters Association e l’Italia.
Agli Stati Uniti, dove era finito lo schiavismo, occorreva mano d’opera a basso costo. Occorreva trovare una nuova “razza inferiore” disposta a lavorare duro e vivere in condizioni durissime. In quegli anni arrivarono 10.000 nuovi “schiavi”. In quell’epoca la scienza suddivideva l’umanità in “razze” classificandole scientificamente; quelle “superiori”, bianchi intelligenti, destinati a governare e quelle “inferiori”, i diversi, da relegare come forza lavoro. (Dizionario delle razze di fine Ottocento: 2 ceppi, settentrionale e meridionale di derivazione africana).
Così si rimpiazzarono gli schiavi negri, liberati dalla guerra di secessione, con i braccianti siciliani, impiegandoli nella raccolta del cotone e canna da zucchero. I siciliani erani chiamati “dagos”(forse in ragione di uno stiletto che portavano con loro); erano bruni, pelle scura, ricci, un po’ minacciosi; erano “diversi “ e quindi nei loro confronti vi era un certo pregiudizio.
I linciaggi furono numerosi, una giustizia sommaria che si svolgeva nel più assoluto silenzio delle autorità.
Il “diverso” cambia nelle diverse epoche storiche e anche oggi ci sono segnali che la terribile storia del XX secolo possa ripetersi.
Dello stesso autore vi segnalo anche “Patria. 1978 -2008” Trent’anni di vicende italiane raccontate come un telegiornale.
Buona lettura!
Carlotta Staderini Chiatante
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Ascolta Enrico Deaglio che presenta il libro a Fahrenheit Radio3 (16/06/2015)
Veramente “illuminante”
Il libro di Deaglio. Grazie Carlotta dopo la tua bella recensione lo leggerò e lo regalerò…