Articolo di Giuseppe Fabbri – Autore ospite de La Lampadina
Alla fine degli anni Ottanta le mie principali attività erano due, molto diverse tra loro e che gestivo tramite due società altrettanto diverse. La prima era un’impresa che faceva restauro monumentale principalmente per le Soprintendenze romane e la seconda era un’azienda friulana che estraeva dalle cave di Sacile (PN) un carbonato di calcio purissimo macinandolo in varie granulometrie. Lo stabilimento di quest’ultima essendo situato ai margini della cittadina di Sacile, a detta delle autorità locali, disturbava la popolazione a causa della sua rumorosità. Dovendoci quindi rassegnare ad un’inevitabile spostamento c’era il problema di valorizzare l’area che si sarebbe lasciata libera e il caso voleva che il socio locale fosse amico di giovinezza di Marcello D’Olivo che in Friuli, dopo il suo capolavoro della Spirale ovvero la “Chiocciola” di Lignano Pineta, era considerato una sorta di divinità dell’architettura. Fu così che conobbi il Maestro dopo averne tanto sentito parlare essendo io stato, casualmente, negli anni precedenti, un frequentatore vacanziero delle località marittime pugliesi in generale e di Manacore in particolare dove D’Olivo aveva realizzato il famoso Hotel Gusmay.
Come spesso succede con questi personaggi geniali D’Olivo era la quintessenza del disordine e della improvvisazione. Partoriva idee una più brillante dell’altra lasciandole lì, dietro di sé, su fogli di carta volanti senza l’ombra di un assistente o collaboratore che raccogliesse i suoi parti per dar loro ordine e consistenza. Un po’ per questo, un po’ per il fatto che l’amministrazione sacilese ci dava tempo, il progetto di MDO marciava lento pede. Se questo era, quindi, lo stato delle cose sul fronte nord dei miei interessi professionali, a Roma invece, l’impresa di restauro monumentale si era aggiudicata il lavoro di rifacimento della copertura dell’Arco di Costantino per conto della Soprintendenza Archeologica di cui soprintendente era allora Adriano La Regina. Direttore dei lavori per l’Arco di Costantino era una formidabile collaboratrice senior di La Regina e cioè l’architetto Maria Letizia Conforto. Durante il periodo che durò il lavoro sull’Arco di Costantino i miei incontri con la Conforto sui ponteggi dell’Arco furono quasi quotidiani e quindi, quotidianamente, anche se non intenzionalmente, il nostro sguardo si posava sulla mole imponente del Colosseo a fianco a noi. Nel grande libro della monumentologia romana, soprattutto quella archeologica, il Colosseo era sicuramente il koh-i-noor ma, ahimè, già allora e da molti anni, in condizioni precarie e quindi un koh-i-noor che aveva perso il suo splendore originale. Esso era il punto dolens della Soprintendenza Archeologica perennemente sotto finanziata dallo Stato rispetto alle sue effettive esigenze e quindi paradossalmente il monumento che più chiedeva più soffriva. Si continuavano a fare piccoli interventi di estrema urgenza che servivano a tamponare delle ferite più o meno gravi ma particolarizzate e con riflessi sulla
sicurezza ma nulla ancora mai mirato a ridare al monumento il privilegio dell’eccellenza
Fu così che un giorno mi venne di chiedere alla Conforto se esistesse, nei cassetti della Soprintendenza, un progetto di restauro globale del Colosseo ed ella negò dicendomi che un progetto di restauro globale del Colosseo avrebbe richiesto realisticamente l’intervento di un super architetto, non certo un architetto qualunque. E il giorno che si fosse dato l’incarico a un super architetto bisognava anche avere una ragionevole sicurezza che l’affare sarebbe andato in porto. Ero distratto e sopra pensiero mentre dalla mia bocca uscì la domanda “Un super architetto tipo Marcello D’Olivo?” Gli occhi della mia interlocutrice emisero un lampo di luce come se avesse, per un attimo, intravisto l’Angelo dell’Annunciazione: “Lei mi ha letto nel pensiero”– disse – “nel Gotha dell’architettura italiana D’Olivo è sicuramente l’uomo più in sintonia col Colosseo!”
Bastò quel lampo di luce negli occhi di Maria Letizia Conforto per innescare il più bel progetto di restauro del Colosseo che sia mai stato messo su carta. Oltre agli imponenti interventi di manutenzione straordinaria primo fra tutti il ripristino funzionale dello smaltimento delle acque piovane che ancora si basa su una rete di condotti fognari d’epoca romana, il progetto prevedeva tre elementi cardinali di grandissima suggestione per non dire rivoluzionari e cioè: (1) La protezione del monumento dagli effetti delle emissioni del traffico carraio mediante la realizzazione di una galleria artificiale rivestita sull’estradosso di prato e vegetazione cosa che avrebbe ripristinato l’antico posizionamento del Colosseo in una valle di verde. Vedi fig.1 e 2
– (2) Rifacimento del piano dell’arena in assi di legno poggiate su un anello ellittico reticolare in acciaio. Vedi fig. 3
– (3) Creazione di un ambiente museale completamente aereato e illuminato al di sotto del piano dell’arena. Vedi fig. 4.
A vederlo così sgambettare sugli spalti dell’Anfiteatro Flavio in cerca dell’ispirazione sembrava un innocuo turista un po’ fanatico, invece la sua fertile mente nel frattempo lavorava e credo che le quattro immagini qui riportate (non si deve dimenticare che D’Olivo era anche pittore) diano un’idea abbastanza chiara del progetto che partorì. In soldoni la valutazione dei costi ammontava a un totale di Lit 120 miliardi (Euro 60 milioni) divisi quasi identicamente tra l’interno del Colosseo e l’esterno: Lit 60 miliardi ognuno. L’esterno comprendeva la galleria di 820 ml e la centrale di illuminazione e air conditioning degli ipogei. Data la cifra enorme per quelle che sarebbero state le possibili disponibilità dell’epoca (1988) e non solo quelle dell’epoca, si decise di rinunciare alla parte esterna del progetto, purtroppo invece sicuramente più appariscente e dare la precedenza alla parte interna innegabilmente più urgente, compresa l’arena che del progetto D’Olivo era comunque uno dei tre punti qualificanti anche se non qualificabile come urgente. Anche se dimezzato tuttavia il costo del progetto era ancora largamente esuberante le possibili disponibilità della Soprintendenza. Non v’era quindi altra possibilità che ricorrere a quello che allora si chiamava FIO (Fondo Investimenti e Occupazione). Ricordo che, incurante delle effettive probabilità che il nostro progetto avesse d’essere finanziato, mi gettai anima e corpo alla stesura dello stesso. Ricordo che passai il Ferragosto del 1988 a Udine nello studio di Marcello D’Olivo senza aria condizionata perché la data di scadenza di presentazione dei progetti al Ministero era molto prossima e noi, come sempre, eravamo in ritardo. Comunque, il 29 Agosto il progetto fu consegnato alla Soprintendenza Archeologica e il giorno seguente da questa trasmesso al Ministero dei Beni Culturali. Dopo di che non seppi più nulla se non che il FIO cessò di esistere. Non ho mai saputo se fu il progetto del Colosseo ad uccidere il FIO o quest’ultimo morendo si sia portato appresso il progetto suddetto. La storia si limita a dire che con l’anno 1988 i finanziamenti FIO vennero interrotti e mai più ripresi fino alla sua ufficiale estinzione nel 1999.
Oggi, circa un quarto di secolo dopo i fatti narrati, grazie ai finanziamenti dei privati (Della Valle in particolare) l’argomento è tornato di attualità. Non so nulla del progetto alla base dell’attuale programma dei lavori ma ho sentito tempo fa che il Ministro Dario Franceschini ha confermato che, tra l’altro, il piano dell’arena verrà ricostruito ma non ha detto una parola su quanto c’era dietro a questa idea. Nel frattempo Marcello D’Olivo se n’è andato. Quando nei miei sogni parlo con lui, non so mai se dirglielo o no, perché non so se gli farebbe piacere o lo farebbe incazzare ancora di più.
Ricordo Marcello con grande affetto. Anch’io frequentai La Selva per molti anni… Dal ’76 al ’87 conobbi personaggi interessantissimi che erano amici di Antonello. Il mio massimo rispetto, oltre che simpatia, era per D’Olivo, enorme architetto e gigantesca presenza. Che bello vederlo ricordato… sempre!
È’ un momento carico di emozione questo, leggendo la storia del progetto di ristrutturazione del grande maestro, questa che si interseca con il periodo passato da D’Olivo a Paliano, nella tenuta del principe Antonello Ruffo di Calabria. Alla Selva, appunto, dove lavoravo occupandomi del personale, conobbi il maestro. Stava preparando, il progetto del museo delle piramidi in Egitto e ricordo che, lusingandoci non poco, mi voleva portare con lui quando sarebbe partito. Purtroppo un disaccordo con Ruffo lo fece partire per Udine. Non lo vidi più, arrivato a casa, mori’. Ma lo porto sempre nel cuore
Che bel ricordo di mio padre : vero sentito carico di affetto e ammirazione. Grazie