Articolo* di Marco Patriarca – Autore Ospite de La Lampadina
Questo articolo è la sintesi di un saggio pubblicato nell’ottobre 2015 dall’Autore, – in condivisione con politici e storici – sulla rivista “Nuova Storia Contemporanea”, diretta da Francesco Perfetti, e ripubblicato negli Stati Uniti dalla Rivista “TELOS”.
6 punti in sintesi.
- Il Trattato di Roma del 1957 fondatore della Comunità Europea prevedeva un’associazione di stati liberi ed indipendenti che, dopo successive fasi di integrazione reciproca, potesse assumere una veste politica. Il Trattato di Roma aveva carattere sperimentale e, anche se non identificava esplicitamente la forma di istituzionale di un’auspicata unità politica, si intuiva che il modello sarebbe stato quello federale, il che era confermato dal Movimento Federalista degli anni ‘60 e da altre associazioni europeiste.
- Senonchè con i trattati di Maastricht e il successivo trattato di Lisbona (2007), il modello federalista è scomparso e, dopo il fallito progetto costituzionale, gli alti rappresentanti dei paesi membri hanno proceduto al cosiddetto “passo da gigante:” hanno introdotto la moneta unica, adottata temporaneamente solo da 19 stati membri, e rafforzato tutte le istituzioni europee a Strasburgo ed a Bruxelles come se la UE fosse un vero stato sovrano. Il modello che è apparso da quei trattati è un modello vetero- statalista (legislativo, esecutivo e giudiziario) venato peraltro di dirigismo. Questo continua ad imporre agli stati di integrarsi rispetto alle previsioni di Strasburgo e di Bruxelles ma non prevede nulla affinché questi si integrino fra loro, unica condizione per “un’unione sempre più stretta.”
- Osservando le vicende degli ultime 20 anni si può osservare che l’Europa assomiglia sempre meno alle previsioni di quei trattati e che i molti errori di previsione così come le misure adottate in vari settori chiave della convivenza comunitaria configurano ciò che nel linguaggio manageriale si definirebbe una design failure.
- I parlamentari Europei non dovrebbero lavorare a Strasburgo e a Bruxelles. Essi dovrebbero essere scelti accuratamente fra persone altamente qualificate, indicate dai governi e votate dai parlamenti nazionali. Dovrebbero rappresentare un corpo legislativo itinerante ed ogni stato membro dovrebbe avere presso il proprio organo legislativo 27 parlamentari europei itineranti allo scopo di esaminare e discutere nei parlamenti, e fra loro, le proposte del Consiglio e della Commissione Europea. Come avviene nella americana National Conference of State legislators, (a Denver) essi dovrebbero tenere una Conferenza annuale al fine di mantenere l’equilibrio fra le legislazioni nazionali e quella che diverrebbe federale. Solo allora si potrà dare vita ad un’unione politica nella forma di un federalismo compatibile con le reali esigenze comuni dei 28 stati membri liberi ed indipendenti.
- In previsione del cosiddetto Brexit, prima del referendum annunciato, che potrebbe sanzionare l’uscita del Regno Unito dalla UE, nel saggio si auspica che una tale minaccia sia l’occasione per un’iniziativa italiana, che troverebbe consenso anche nel Regno Unito, per proporre urgentemente una nuova ipotesi federalista, seppur limitata ad alcuni stati, che rinnovi l’originario progetto europeo.
- Il trattato istitutivo della CED (Comunità Europea di Difesa) del 1950, subito abbandonato, e dopo il fallimento delle UEO (Unione Europea Occidentale), dovrebbe essere rinnovato e reso operativo in forma di una European Expeditionary Force (od altra denominazione) operata da alcuni stati europei (ad esempio dai 6 fondatori oltre al Regno Unito) indipendente, ma coordinata con la NATO favorendone una sua maggiore europeizzazione. Ciò darebbe alla UE una voce europea nella difesa e un maggiore status internazionale, anche nei confronti dei suoi alleati.