Intorno alla prima metà del Ottocento nasce la fotografia.
Diventa presto uno strumento ideale per ricercatori e viaggiatori nel documentare le loro scoperte, un mezzo di trasmissione di immagini molto dettagliate per illustrare un contesto sociale, un evento bellico, un’occasione mondana oppure per creare ritratti e paesaggi. Dalla prima Eliografia di Joseph Niépce, 1826 ai dagherrotipi di Louis Jacques Mandé Daguerre nel 1837, questo mezzo rivoluzionario trova rapidamente una serie di addetti appassionati.
Uno di loro, uno stravagante ed avventuroso personaggio si chiama Felice Beato. Come essere una persona qualunque con un tale nome!
Delle sue origini non si sa molto. Nasce in Italia nei primi anni del 1830, si naturalizza inglese e diventa presto il primo fotografo al mondo a dedicarsi al fotogiornalismo dal 1850 in poi. Insieme al cognato, marito di sua sorella Leonilda, e suo fratello Antonio, forma una società la “Robertson, Beato & co” a cui rimane legato fino al 1867. Beato è il primo fotografo a documentare le guerre. Sarà a Balaklava in Crimea nel 55’, alla caduta di Sebastopoli, a Calcutta per documentare le conseguenze della ribellione indiana del 1857. E’ il primo europeo a illustrare la Cina dell’epoca e sarà lì nella spedizione militare anglo-francese della seconda guerra dell’oppio nel 1860.
Con lo spirito del fotogiornalista riprende spesso cadaveri che, si dice, fa spostare per aumentarne l’effetto scenico. Sempre corpi di non europei, per poterne vendere le immagini ad acquirenti occidentali. Passa per Atene, Costantinopoli, la Palestina e l’Egitto.
Le sue foto rappresentano spesso l’unica documentazione di fabbricati che verranno poi distrutti in futuri conflitti. Realizza centinaia di ritratti, preziosi elementi di grande interesse etnografico.
Nel Regno Unito le sue fotografie vengono utilizzate anche per giustificare la guerra dell’oppio e le altre guerre coloniali. Oltre che fotografo di guerra è stato pure un ottimo paesaggista cercando di rendere vaste panoramiche unendo insieme più stampe ottenute da scatti contigui.
Alla fine del 1861 Beato è in Inghilterra, dove vende circa quattrocento fotografie dell’India e della Cina. Sono illustrazioni di un mondo di cui l’Occidente è totalmente all’oscuro. In molte fotografie scattate contemporaneamente in vari parti del globo, compare la firma “Felice Antonio Beato”. Sembra che sia una firma utilizzata sia da uno che dall’altro fratello a rappresentare entrambi.
Comunque, Felice viene soprattutto ricordato per gli scatti che realizza dal 1863 al 1877 nel Giappone della dinastia Edo, paese chiuso ai contatti con il mondo esterno per due secoli, e poi riaperto con forza dall’intervento degli Stati Uniti. E’ l’alba della modernità, la fine di un’epoca di cui le immagini che ci giungono grazie a lui ci illustrano i paesaggi, le città e, soprattutto, le persone: uomini che girano con la spada, samurai, anziani e donne in costumi tradizionali. Ogni sua opera è una finestra aperta sul mondo orientale, lontano e sconosciuto, che, grazie alla fotografia si offre alla curiosità del pubblico europeo. Crea a Yokohama insieme al pittore Charles Wirgman, specializzato nella coloritura delle stampe fotografiche con l’anilina, una vera e propria scuola a cui partecipano molti artisti locali.
Visto che per la colorazione di una buona fotografia occorre quasi mezza giornata, si forma una catena di montaggio con una gerarchia produttiva ben precisa, che segue anche le inclinazioni e il grado di abilità di ciascun colorista. La scuola di Yokohama crea uno stile e una moda che perdura fino ai primi del Novecento. La mancanza di colore nelle fotografie ottocentesche era avvertita come un limite. La policromia di queste stampe, unite alla loro raffinatezza e esoticità, contribuisce al loro grande successo commerciale in Occidente. Beato pubblica nel 1868 due volumi: “Native Types” e “Views of Japan”.
Le sue avventure da fotoreporter lo trovano ancora in varie occasioni come protagonista: nel ’71 in Corea, nel ’84 in Egitto. Dal 1884 al 1885 segue la spedizione, condotta dal generale Charles George Gordon in Sudan. Nel frattempo non si limita solo alla fotografia e viene nominato nel 1873 Console Generale per la Grecia in Giappone dove si lancia pure in attività finanziarie, immobiliari e commerciali di scarso successo. La sua incredibile energia lo porta, lasciando il Giappone, in Birmania dove riapre uno studio fotografico. Rientra infine in Europa e si pensa muoia a Firenze nel 1909.
Per apprezzare le sue incredibili imprese bisogna ricordarsi delle difficoltà tecniche della fotografia di allora. Durante la sua lunga attività, Felice Beato ha vissuto l’evoluzione dei materiali sensibili ancora allo stato pionieristico. Non crea “istantanee” ma grandi lastre con lunghi tempi di esposizione. E’ una notevole emozione guardare i suoi scatti, testimonianze di un mondo remoto.
Vero?! Pensa l’energia incredibile che ha permesso a Beato (che nome fantastico!) di attraversare il mondo con una pesantissima attrezzatura, mezzi di trasporti spesso medievali e mezzi tecnici ancora ridottissimi. Un genio!
Fantastica e incredibile storia!
Grazie Nicola! Hai visto che personaggio? Non ho resistito leggendo quel nome e scorrendo le pagine della sua vita, del contesto in cui ha espresso la sua arte! Dovevo scriverne per forza per la Lampadina!
Brava Margherite i tuoi articoli scorrono sempre a meraviglia!!