“Flatlandia: racconto fantastico a più dimensioni” è stato scritto più di un secolo fa, nel lontano 1884!
L’autore Edwin Abbot Abbott è uno scrittore inglese, abbastanza conosciuto ai suoi tempi, ma che non ha lasciato traccia di sé se non in questo libretto che fu pubblicato “anonimo”.
E’ un “libretto” perché composto – nella edizione italiana – di sole 199 pagine.
Il racconto si svolge in un mondo a sole due dimensioni (una superficie piana: Flatlandia). Gli abitanti sono delle figure piane: cerchi, quadrati, triangoli, poligoni, che si muovono su questo piano, seguendo regole precise.
Improvvisamente un suo abitante – un quadrato – entra in contatto con una sfera: un “alieno” abitante di Spacelandia, universo a tre dimensioni.
Il romanzo narra la difficoltà del quadrato ad accettare lui stesso l’esistenza di un mondo che abbia una dimensione maggiore di quella nel quale è immerso e gli ostacoli che incontra nel presentare ai suoi concittadini la sua “scoperta” e si conclude con la stizzosa risposta dell’alieno, che lo ha iniziato all’esistenza di un mondo superiore, all’ipotesi che anche “spacelandia”, – l’universo a tre dimensioni –, non sia che una forma inferiore di altri universi a dimensioni ancora maggiori.
Lo stile di scrittura è abbastanza “vecchio”, tuttavia la lettura scorre piacevolmente per l’ironia con la quale l’autore descrive situazioni delle quali, anche se viviamo quasi centocinquant’anni dopo, siamo stati o siamo personalmente testimoni.
Il romanzo, – scritto prima che Einstein elaborasse la sua teoria della relatività e introducesse il concetto di spazio-tempo, universo a quattro dimensioni –,fu interpretato come una critica del mondo vittoriano dell’epoca, con le sue minuziose precise regole.
Ma il suo significato è molto più profondo.
Il primo insegnamento che si trae dal libro è che nessuno può mai credere di sapere tutto o di poter sapere tutto o di non avere più necessità di imparare, che le strutture nelle quali siamo immersi non sono “inamovibili” o migliorabili.
Ma fa anche riflettere su quanto sia insensata la pretesa di ridurre la realtà a ciò che è materialmente “misurabile” o “scientificamente dimostrabile” e a quanto sia irragionevole la derisione con la quale vengono sovente accolti coloro che sostengono l’esistenza di realtà “altre” rispetto a quella che cade sotto i nostri sensi.
Questo pensiero mi è venuto alla mente alcuni giorni or sono mentre ascoltavo una trasmissione televisiva – “Voyager” , programma che tratta argomenti sempre al limite del “verosimile” – che presentava testimonianze di esperienze “para-sensoriali” di colloqui con dei cari defunti, vissute da astronauti, per lo più sovietici, durante la loro permanenza nello spazio.
E che dire delle esperienze di pre-morte che la scienza medica sta studiando e che riguardano milioni di esseri umani nel mondo?
E’ “ragionevole” fare una scrollata di spalle e dire: dato che queste cose non sono scientificamente dimostrabili non le prendo neanche in considerazione?
Renzo Arbore concludeva le sue trasmissioni con le ormai celebri parole: “Meditate, genti, meditate!”
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Approfondisci la lettura con sperimentazioni geometrico-spaziali veramente interessanti.
Alcuni giorni dopo avere scritto questo articolo ho ascoltato una conferenza di un ricercatore del CERN di Ginevra.
Questi commentava che alcuni esperimenti di collisioni effettuati alle energie più elevate mai sperimentate precedentemente fornivano risultati che non erano giustificabili con le attuali conoscenze della fisica.
Ebbene, una delle ipotesi avanzate che spiegherebbe queste anomalie è che la realtà fisica sia “quadri-dimensionale” di cui questi risultati sono una traccia nella nostra realtà quotidiana tri-dimensionale.
Per chi fosse interessato ad ascoltare la conferenza, la può trovare sul sito ufficiale di TED: il titolo è “How we explore unanswered questions in physics“. La si può anche sottotitolare in italiano ed è largamente comprensibile anche da un profano.