Articolo di Antonio de Martini – Autore Ospite de La Lampadina
Nel 1874 il capitano Elie Roudaire, ufficiale dell’esercito francese, facendo rilevamenti geografici in Tunisia e Algeria e notando l’esistenza di grandi depressioni, ebbe un’idea: frenare il deserto avanzante con la creazione di un canale che dal golfo di Gabes, percorrendo pochi chilometri giungesse a creare un mare interno grande come l’Umbria.
L’idea di base era di far fare alla natura quel che l’uomo non riusciva a fare che con sforzi titanici: il Mediterraneo si sarebbe incaricato di mitigare i rigori del clima desertico, facilitare la possibilità di trasportare merci in nave e non più a dorso di cammello e consentire una logistica semplificata in zone suscettibili di uso agricolo e pastorizio.
Il libro di Roudaire “La mer interieure algerienne” sconvolse le società geografiche dell’epoca dando vita a un vivace dibattito, cui partecipò anche la neonata Società Geografica Italiana che organizzò la prima “spedizione scientifica” della sua esistenza guidata dal marchese Antinori.
A giudicare dal servizio fotografico – una primizia per l’epoca – la spedizione si arenò sull’isola di Gerba dedicandosi più alla dolce vita che allo studio di fattibilità.
Lo Stato Maggiore francese vide l’idea come un cavallo di Troia della Marina alla ricerca di un ruolo coloniale; i geografi come un’idea da osteggiare e lo stesso Bey di Tunisi come un piano diabolico.
A far pendere la bilancia delle polemiche verso l’idea, Ferdinand de Lesseps, il realizzatore del canale di Suez, che però morì poco dopo lasciando orfana l’iniziativa.
Da allora l’idea fu ripresa più volte ma seppellita definitivamente nel 1905 quando si decise che la spesa non valeva l’impresa.
Ora che i centri di profitto di una simile iniziativa si sono moltiplicati grazie alla nascita del turismo di massa (540 km di coste in più nella sola Tunisia), alla nascita della itticoltura e all’incremento delle necessità delle saline per rifornire l’Europa, il progetto è stato ripreso. Dalla CO. RO. un’associazione no profit di professionisti italiani, tunisini e canadesi, ma aperta a tutti.
L’Associazione ha aperto un ufficio a Tunisi e presentato una lettera di intenti al Governo in carica che l’ha debitamente protocollata e aperto una antenna a Washington per la World Bank. A giorni un sito pentalingue sarà on line.
L’Associazione immagina di applicare tecniche costruttive tradizionali e quel tanto di tecnologia che non impedisca di impiegare molta mano d’opera. Il sud della Tunisia ha una densità di popolazione di due abitanti per chilometro quadrato, ma l’intero paese è devastato dalla piaga della disoccupazione.
Gli organizzatori intendono impiegare sessantamila manovali, ripartiti in cento cooperative di seicento persone cadauna, che avranno in appalto i lavori di scavo e il movimento terra di circa 21 miliardi di metri cubi di terreno per modellare l’alveo del nuovo mare.
Il mare interno avrà la profondità media di sei metri (il Mar Caspio è mediamente profondo sette) e la trovata logistica consiste nell’effettuare il movimento terra verso il centro dello chott con un percorso medio di nove chilometri, che consentirà la creazione di due isole: la maggiore delle due sarà grande il doppio dell’isola d’Elba (960 kmq). Il canale di accesso avrà una profondità idonea alla navigazione ed all’installazione di turbine che sfruttino la forza delle correnti.
L’isola “maggiore“ e la minore (125 kmq) verranno adibite a punto di sosta per gli uccelli migratori che stagionalmente fanno la spola tra l’Europa e l’Africa, creando la più grande Oasi ornitologica del mondo.
Il piano prevede la cessione a tutti gli operai di un ettaro di terra e una dotazione di mattoni (fatti all’antica con fango, paglia e sole) perché si costruiscano una casa di 100 mq. Per questo i promotori del progetto contano di interessare la Banca Islamica. Il sistema di condizionamento sarà mutuato dal sud Irak: un panno umido intelaiato su un bambù e piazzato alla sommità del tetto fatto a forma di Trullo. Sembra incredibile, ma climatizza le case perfettamente.
Questi insediamenti, diventeranno le aree abitate suscettibili di fornire ortaggi e mano d’opera ai grandi alberghi che sfrutteranno una stagione “estiva” di dodici mesi all’anno. Il modello di cooperazione con le comunità locali è quello adottato in Sud Africa dalle “guest House” del parco Kruger.
Finito il canale di accesso e i lavori di preparazione dell’alveo, inizierà la più grande operazione di marketing territoriale mai fatta nel Mediterraneo che interesserà tutte le catene alberghiere del mondo, le aziende interessate alla itticoltura e alle saline, oltre alla raccolta dei carbon credit previsti dal trattato di Kyoto per le zone irrigate non previamente utilizzate per scopi agricoli.
L’arma segreta è anche la creazione di cantieri di lavoro per oltre centomila persone che avrebbero un effetto risolutivo nel mitigare la spinta migratoria dall’Africa.
Un dato interessante è fornito dalla DAP (Amministrazione penitenziaria italiana): un maghrebino ristretto in carcere costa all’erario 125 euro al giorno. Con la stessa cifra si possono mantenere, a tariffa sindacale, sei manovali al lavoro a casa loro.
Il progetto di valorizzazione delle depressioni nord africane è replicabile ovunque esista uno chott (in arabo “spiaggia”).
Il più grande – 400 km- è Al Quattara in Egitto. Ottimo per un cantiere nello stile delle Piramidi.
Il segreto di questa concezione è sostituire il termine “sostenibilità” col più realistico e rispettoso “compatibilità” con le tradizioni e gli uomini e le esigenze.
Guarda il sito dell’iniziativa
Leggi un interessante articolo sul progetto.
Oggi è il 24/11/2021: come procede il progetto? 🙂
Bellissima idea. Se serve una mano sono con voi.
Sarebbe una cosa meravigliosa e grande.
Modificherebbe il clima interno del deserto Tunisino, portando agricoltura e turismo quindi porterebbe una buona fonte di sviluppo economico per la popolazione.
Molto interessante, apre nuove prospettive.