Già in miei precedenti articoli pubblicati sulla nostra Lampadina mi sono occupato di linguaggio e di manipolazione del consenso, con articoli su Noam Chomsky (giugno 2014), sull’”Agenda setting” (settembre 2014) e sulla cosiddetta “finestra di Overton” (Novembre 2015): è sicuramente un tema che mi appassiona.
Se sottoponiamo ad analisi linguistica un mese di un qualunque quotidiano ci accorgeremo che certi vocaboli – dei quali conosciamo il significato per averli utilizzati in altri tempi della nostra vita – non compaiono, che sono entrati nell’uso comune una serie di vocaboli che non esistevano al tempo della nostra adolescenza e che altri vocaboli hanno assunto un significato diverso da quello al quale eravamo abituati.
Attraverso questo cambiamento, insensibilmente ma progressivamente abbiamo anche noi mutato il nostro modo di “pensare”. Perché si pensa attraverso le “parole” e parliamo per comunicare e, per essere compresi, abbiamo necessità di usare un lessico che sia comune con chi ci ascolta. Quindi anche noi ci siamo adeguati.
Certo, il linguaggio rispecchia la cultura “corrente” ma è facile scoprire come il suo cambiamento non solo “accompagni” il cambiamento della cultura ma in larga misura anche lo determini o quanto meno lo acceleri.
Se poi pensiamo all’importanza che hanno rivestito negli ultimi cinquant’anni i mezzi di comunicazione di massa (ora questa importanza va scemando a favore dei cosiddetti “social media”) e come questi siano sotto il controllo di pochi potentati internazionali, viene spontaneo dubitare che anche questa modificazione del linguaggio sia un elemento della “manipolazione del consenso” che avviene a nostra insaputa e della quale abbiamo parlato negli articoli precedenti.
Quali sono le strade per cambiare il linguaggio e attraverso di esso modificare la “cultura”? Ne elenco alcune.
Eliminazione di vocaboli dal contenuto “forte”: termini come virtù, castità, fortezza, umiltà, lealtà, nobiltà sono scomparsi dal lessico. Non se ne parla più. Le realtà che indicavano, non più “nominate” diventano “irrilevanti”.
Sostituzione di vocaboli dal contenuto forte con altri che non suscitano reazione di disapprovazione: l’aborto è detto “interruzione volontaria della gravidanza” o meglio ancora IVG, acronimo del tutto asettico; l’omicidio del consenziente – questo era il termine per indicare l’atto di aiutare una persona a togliersi la vita – è detto “eutanasia”, buona morte [il vocabolo omicidio provoca un’immediata reazione negativa, il vocabolo “buono” suscita immediata reazione positiva]- si va facendo strada anche un nuovo termine ancora più accattivante “eco-morte” [tutto ciò che è “ecologico” richiama approvazione]; la “fecondazione artificiale” è detta “procreazione medicalmente assistita” [“artificiale” è un termine che produce sospetto, “assistenza medica” un termine che suscita approvazione] e di altri esempi se ne potrebbero fare tanti.
Depotenziamento dei vocaboli: amore non è più volere il bene dell’altro, cosa impegnativa perché comporta, nel rapporto a due, almeno in certi casi, il rinunciare a sé stesso a beneficio dell’altro, ma è un sentimento o ancor meno un semplice moto emozionale, cose assai più leggere.
Creazione di “neologismi”: “genitore sociale” [per il “compagno” di un omosessuale che ha dei figli, “omofobia” [la “fobia” è una patologia psichiatrica che limita pesantemente la vita], “femminicidio” [omicidio di persona di sesso femminile] ecc
Trasposizione di un termine da un ambito a un altro: “unione civile” è la recente definizione del para-matrimonio tra omosessuali. Il termine giuridico indicava le associazioni tra privati come i partiti politici, i sindacati; “genere”, termine di origine “grammaticale” (la grammatica latina di giovanile memoria contemplava tre generi: maschile, femminile e neutro ), introdotto oggi in sostituzione di “sesso” in sociologia e psicologia e dilagato nel parlare corrente, fa intendere che anche nel campo “fisico” possa esistere un terzo “genere” ecc.
Ci si può difendere da questo condizionamento inconscio?
La sola difesa possibile è essere consapevoli delle realtà che ci sono dietro alle parole.
Caro Beppe, ottimo il tuo scritto. Sai che non concordo sul tipo di utilizzazione che ne fai, ma in principio hai descritto ció che succede oggi con l´ “informazione”. Ciao, Piero (da Rio)