Questo mese Daniela Matronola ci parla di un’opera famosissima di Virginia Woolf, “Mrs Dalloway”. Buona lettura!
****************************
Due o tre cose che so di lei anzi di loro due:
di Clarissa (Dalloway) e anche di Virginia (Woolf).
E pure del libro in sé. Mrs Dalloway è un libro del cuore.
Per almeno due motivi: l’ho conosciuto grazie alla poetessa Margherita Guidacci che ho avuto come docente di Letteratura Inglese al quarto anno alla (attuale) LUMSA, e grazie a lei ho lavorato bene su T.S. Eliot anche e su Joyce… facemmo un seminario su Mrs Dalloway e io dovevo rintracciare nel testo “Le Vie della Memoria”: una galoppata appassionante, anzi un pedinamento muso a terra come un segugio.
Bello! In effetti nel libro la percezione del presente, che risulta certe volte provocatorio, è perennemente insidiata dalla rivalutazione e dal ricalcolo del passato, per esempio quando riciccia Peter Walsh. Oppure nel peso che il recente passato esercita come distorsione sulla mente di Septimus.
A ben guardare Septimus è un deuteragonista. E la sua presenza laterale in senso fisico è pressante sul piano della coscienza che nel suo chiuso deve di continuo rielaborare la realtà o il modo in cui essa si mostra.
Clarissa e Septimus non si incontreranno mai. Due soli i punti labili di contatto: quel giorno di giugno in cui Clarissa esce per comprare i fiori per la tavola della cena un aereo che passa sopra di lei attira la sua attenzione e forma un segmento ideale con suo naso, e Clarissa fantastica sul progresso e sul cielo. Ma quell’aereo incombe anche su Septimus che è in un altro punto della topografia della città, sempre troppo vicino al fiume: l’aereo gli scocca il suo segmento insidioso e lui cade in un ulteriore tormento perché per lui un aereo è il rombo della guerra che lo ha reso shell-shocked cioè rintronato.
Questo triangolo ideale li unisce ciascuno all’insaputa dell’altro.
[Clarissa è una donna buona, sensibile: quando esce da casa vede dall’altra parte della strada una donna anziana che mendica e questo fa sorgere in lei una minima attenzione sociale, ma lei pensa alla cena ai fiori e alla bellezza della città in quella giornata di giugno. Lei è la moglie del deputato Dalloway, un MP, un membro del Parlamento.
La sera darà questa cena per gli amici che come loro appartengono alla bella società londinese. Nulla offusca davvero il suo quadro magnifico dell’esistenza. Nemmeno la riapparizione di Peter Walsh, del quale nota finalmente la cialtroneria e la sostanziale ineleganza ora che la sua patina di ragazzo ganzo è caduta o che lei, forse, ci vede meglio. Per fortuna, ha saputo aspettare, Clarissa, il suo vero eroe: lo stabile politico Dalloway].
A cena l’ombra di Septimus si riaffaccia: arriva il grande professore psichiatra, scienziato in vista quasi ospite vip della cena, e, poiché siamo in un salotto bene e il cuore della cena sono le chiacchiere, più o meno gustose, più o meno argute, costui mette tutti al corrente del fatto che un suo paziente si è suicidato nel pomeriggio: è Septimus.
Lo scienziato, amico di Mr Dalloway, ingombra la serata con il suo resoconto del caso, raccontato in modo un po’ professionale e semiumano, in realtà con un distacco da far spavento, come una statistica, e Clarissa si urta, perché in questo modo viene detronizzata, tutta l’attenzione doveva essere su di lei, impeccabile signora e padrona di casa, e invece tutti sono calamitati dalle imprese mirabolanti del grande professore. E Septimus dove è andato a finire?
Septimus, accudito teneramente dalla moglie e spesso preda di crisi tremende, finisce ingoiato dal racconto del professore come caso clinico spogliato di ogni dato di umanità, come accade anche in Howards End al signor Bast che resta ucciso in biblioteca quasi per caso (EM Forster).
Poi vabbè ci sarebbero tutte le considerazioni tecniche ma mi sembrano scolastiche… Dico solo che la Woolf non pubblicò, con la sua Hogarth Press, l’Ulisse di Joyce (che poi fu pubblicato nel ’22 da Sylvia Beach a Parigi alla libreria e piccola casa editrice Shakespeare&Co.) ma anni dopo con questo romanzo (del ’25 mi pare) pubblica un romanzo nel quale utilizza anche lei il flusso di coscienza seppure in forma intermittente e indiretta che è la grande innovazione modernista, e in ogni caso una costante dei suoi bellissimi libri… Vabbè, basta…