ARTE – μισάνθρωπος. A Capodimonte, con Bruegel il Vecchio, l’inquietudine del presente

É sorprendente scoprire l’immensa ricchezza di opere d’arte nell’imponente Palazzo di Capodimonte a Napoli. Camminando nelle sue numerosi grandi sale, raggiungendo la galleria Farnese che occupa quasi tutta la metà del primo piano si può vedere la ricca collezione che pervenne a Napoli nel 1734 insieme a tutto il patrimonio della famiglia.
La famiglia Farnese inizia a collezionare nella meta del Cinquecento grazie a Papa Paolo III che comincerà raccogliendo opere di statuaria recuperate nei vari siti della Roma antica e acquistando lavori dei grandi pittori che operavano a Roma in quegli anni. Con Ottavio Farnese e suo figlio Alessandro nel Seicento la collezione si arricchisce ancora. Ed è con Ranuccio I Farnese, figlio di Alessandro, illuminato promotore di tante iniziative nello scopo di riorganizzare il Ducato di Parma, che la famiglia allarga i suoi averi in modo notevole. Se Alessandro era un eccellente amministratore e promotore delle arti, da un punto di vista umano aveva un atteggiamento cinico e crudele. Sembra che la congiura dei nobili parmensi del 1611 fosse solo un abile sotterfugio per mettere le mani sui feudi degli incriminati e sui loro beni così da permettergli di appropriarsene.
Nella sala diciassette della Galleria Farnese si trovano dipinti di origini sia fiamminga sia tedesca tra i quali troviamo due opere firmate da Pieter Bruegel il Vecchio. Le opere facevano parte della collezione di Cosimo Masi, segretario di Alessandro Farnese e poi del figlio Giovanni Battista di cui tutti i beni furono espropriati in seguito alla presunta congiura del 1611.
Una delle due opere datata 1568, è intrigante, addirittura inquietante. Un dipinto tondo, di dimensione media, rappresenta un uomo, vestito di nero, anziano, che cammina con le mani incrociate. Dietro di lui, nella parte destra, vi è un ometto grottesco dentro un globo di cristallo con una croce in cima, rappresentazione metaforica del Mondo. Il piccolo personaggio si china per derubarlo, tagliandogli la borsa che ricorda la forma di un cuore umano. Nella parte bassa del quadro, vi è una scritta in fiammingo che dice: “Poiché il mondo è così infido, mi vesto a lutto”.
All’opera fu attribuito il nome, “Il misantropo”. La parola prende origine dal greco antico: μίσος, mísos, “odio” e ἄνθρωπος, ànthrōpos, “uomo, essere umano”. Citando le enciclopedie, l’uomo misantropo si può definire come “una persona che odia o non si fida dell’umanità, che tende a tenersi propriamente alla larga dagli altri. Ha un carattere poco socievole, chiuso ai contatti umani”. Questo è chiaramente illustrato nel dipinto nella figura dell’anziano ammantato di nero: “La delusione e l’insensibilità dell’animo che la vita nella società comporta”.
La tradizione teatrale ne ha fatto, nei secoli, grande rappresentazione con lo scopo di illustrare le debolezze dell’essere umano: una patologia dell’anima, la mancanza di dare e ricevere amore, amicizia. Nell’antica Grecia, c’è il Misantropo di Menandro, che mette in scena un vecchio arcigno, Cnemone, che vive insieme alla figlia e alla serva che lo sopportano pazientemente, isolato da tutti. In seguito Molière, mette in scena il Misantropo con Alceste come protagonista.
Per parlarne userò le belle parole di Antonio Mignarelli che ne ha anche curato la regia: “Alceste, punto di congiunzione e di rottura di tutti gli spettatori, che con Lui s’identificano e da Lui si distanziano, sublime riassunto di tutte le debolezze e le grandezze dell’essere umano, comico perché patetico ma anche eroico e tragico perché patetico. Alceste al pari di Amleto, Don Chisciotte e pochi altri archetipi letterari, continua a distanza di secoli, a parlare di Noi, del fuoco divorante che ci attanaglia quando con un solo gesto vogliamo abbracciare la parte inaccettabile, oscura che ci abita con quella pura, sincera, innocente.”
Il sentimento di disturbo che ci viene guardando l’inquietante quadro di Bruegel ci trasporta nel mondo di oggi. Lo sguardo si fa severo verso le difficoltà che s’incontrano nel terzo millennio: la coscienza e il tormento nel vivere insieme; la difficoltà di comprensione reciproca e tante altre inquietudini.
In Giappone si è creato un nuovo fenomeno sociale in giovani e meno giovani che comincia a diffondersi anche in Italia. L’Hikikomori (letteralmente “stare in disparte, isolarsi” dalle parole hiku “tirare” e komoru “ritirarsi”) dove i soggetti che soffrono di questa patologia rifiutano completamente di uscire nel mondo vero, interagendo in un mondo non reale elaborato su internet. Questo fenomeno in costante crescita viene spiegato come l’espressione di “un meccanismo di difesa messo in atto come reazione alle eccessive pressioni di realizzazione sociale tipiche delle società capitalistiche economicamente più sviluppate”. Certo le intenzioni di Bruegel erano altre quando dipinse la tela nel lontano 1568 ma illustra perfettamente la debolezza dell’uomo e i suoi eterni conflitti e lo rende drammaticamente attuale. Fa di questo dipinto un’opera perfettamente concettuale, molto contemporanea.

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