Da Massimo Cestelli Guidi riceviamo un secondo scritto relativo alla sorte del Ponte Morandi – dopo una sua prima disamina pubblicata nel numero 74 (ottobre 2018) della nostra newsletter – e con esso pubblichiamo alcuni commenti giunti in Redazione.
Su questo numero di novembre 2018, anche alcune considerazioni dell’architetto Giancarlo Busiri Vici
Martedì 2 Ottobre, nel pomeriggio, ho partecipato ad un seminario organizzato da Luca Zevi nella sala dell’ANCE a Roma.
Al Seminario erano stati invitati a parlare illustri Ingegneri ed Architetti connessi in qualche modo con il tema riguardante il salvataggio di quello che era rimasto (in estensione è la parte di gran lunga maggiore rispetto alla parte crollata) del Viadotto sul torrente Polcevera progettato negli anni sessanta da Riccardo Morandi.
Dopo che hanno parlato gli oratori invitati, si è dato spazio ad interventi liberi per alcuni dei numerosi presenti al Seminario.
Le voci correnti nella Stampa e nei Media di una demolizione totale del Viadotto, al fine di realizzarne uno nuovo, forse lungo lo stesso tracciato, hanno suscitato giuste rimostranze di tutti i presenti.
Tutti, Architetti e Ingegneri, sono stati concordi che demolire un’opera d’arte ((anche se in campo tecnico vengono così chiamati i ponti, in questo caso la dizione risulta oltremodo appropriata) ideata da un Progettista famoso in tutto il mondo, opera che è stata stimata e riportata in molteplici pubblicazioni in Europa e nel resto del Mondo, rappresenterebbe un danno culturale per l’immagine dell’Italia.
L’eventuale demolizione di quest’opera richiama alla memoria, certamente con le dovute proporzioni trovandoci in Europa “culla della Civiltà“, le demolizioni di opere d’arte effettuate in Oriente (in Cina da parte delle Guardie Rosse, recentemente in Siria da parte dell’ISIS, ecc.) demolizioni deprecate da parte di tutto il mondo.
Ma la demolizione del Viadotto rappresenterebbe non soltanto un danno culturale, ma anche un danno economico per Genova ed una dilatazione notevole dei tempi per ripristinare la viabilità interrotta e il mancato uso di alcuni edifici che necessariamente dovrebbero essere demoliti .
Ritengo che non è stato valutato a fondo la necessità di allontanare e trasportare a discarica i materiali di risulta delle demolizioni. Un intervento libero di un Ingegnere al Seminario, ha precisato che solo i materiali di risulta delle strutture in cemento armato ammonterebbero a circa 2500 tonnellate, materiali che per l’ingente mole non potrebbero essere portati alle discariche del territorio. Dovrebbero essere allontanati via mare, ossia trasportati al porto di Genova e caricati sulle navi.
Si bloccherebbe in parte il porto per qualche mese.
Poi si dovrebbero allontanare anche i materiali di risulta delle demolizioni degli edifici.
Non effettuando la demolizione del Viadotto, sorge spontaneo il dubbio: le strutture rimaste sono ancora staticamente affidabili?
E’ evidente che si devono effettuare alcuni interventi su queste strutture di risanamento o consolidamento statico. Innanzitutto, individuato l’elemento strutturale che è collassato, dovranno essere consolidati staticamente quelli rimasti. Poiché l’ipotesi più probabile, avvalorata dai video del crollo, è che sia stato uno strallo a cedere, coinvolgendo poi gli altri stralli e l’impalcato, tutti gli stralli rimasti dovranno essere rinforzati, come d’altra parte si era iniziato ad operare per uno dei tre piloni con stralli nel 1993.
A seguire si dovrebbero effettuare interventi di ripristino su elementi strutturali, eventualmente degradati, che si riscontrassero lungo il Viadotto.
Non fa testo poi quanto è stato detto e riportato dalla Stampa e dai Media che la vita di una struttura realizzata negli anni 50-60 è da considerarsi in 50 anni. Un valore medio che può avere anche una sua validità, ma la durabilità di una struttura realizzata in quegli anni dipende dalla qualità della progettazione e realizzazione e dalla idoneità della manutenzione. Ci sono strutture, costruite in quel periodo, che sono crollate dopo 40 anni dalla realizzazione ed altre che dopo più di 60 anni sono ancora efficienti ed affidabili.
Con la notevole evoluzione tecnologica dei materiali che compongono le strutture in cemento armato, calcestruzzo ed acciaio, la durabilità minima di una struttura realizzata oggi e di 100 anni.
Quale intervento si dovrebbe in seguito effettuare nel tratto di Viadotto crollato?
Al Seminario un noto Progettista di ponti ha mostrato una sua idea per l’intervento, soluzione risultata molto valida sia dal punto di vista estetico che tecnico. La soluzione progettuale consiste nella realizzazione di un pilone, al posto di quello crollato, pilone che sostiene stralli in acciaio (questa volta non rivestiti in calcestruzzo) con lo schema statico dell’impalcato progettato da Morandi, ossia con due campate alle estremità che si andrebbero a poggiare sulle parti del Viadotto rimaste.
Questa soluzione è stata da tutti apprezzata perché si inserisce esteticamente molto bene fra le parti di Viadotto rimaste e non stravolge l’idea progettuale di Morandi per l’Opera.
A parte il fattore culturale, una soluzione di questo tipo di recupero del Viadotto, risulterebbe molto più economica e comporterebbe un periodo di tempo di gran lunga inferiore per il ripristino della viabilità e l’uso degli edifici attualmente evacuati, rispetto alla soluzione della demolizione dell’intero Viadotto e realizzazione di uno nuovo.
Se con l’attuale politica ci è stato prospettato che si realizzeranno cambiamenti anche in economia (si spera cambiamenti benefici) è il momento di dimostrarlo evitando la demolizione e ricostruzione del Viadotto. Altrimenti si ricadrebbe in uno dei soliti sprechi italiani, come purtroppo abbiamo riscontrato nel passato.
Un problema è anche rappresentato dal fattore psicologico, comprensibilissimo, soprattutto per le persone che hanno perduto dei familiari nel crollo e che quindi nutrono dei risentimenti verso il ponte. E’ opportuno convincere queste persone che la soluzione del recupero è la migliore per la città di Genova ed inoltre permetterebbe a coloro che sono stati allontanati dalle loro case di rientrare in sicurezza a tempi brevi.
E’ auspicabile quindi un intervento razionale per risanare questa ferita della città di Genova, senza farsi condizionare da risentimenti (al limite quasi un desiderio di vedetta) nei confronti di un’opera d’arte la cui unica colpa potrebbe essere quella di non aver subito nei 50 anni di vita un’idonea manutenzione.
Massimo Cestelli Guidi
Alcuni commenti
“Quando ho letto l’articolo di Massimo Cestelli mi sono trovato in disaccordo. Solo a seguito dei vari interventi mi decido a dire anche la mia.
Mi sono tornate alla mente le immagini dello storico schiacciamento di un enorme busto del Duce, la distruzione della statua di Saddam, ma anche la cancellazione dei fasci dai palazzi pubblici e privati nell’immediato dopoguerra.
Sono reazioni giustificate da una grande componente emotiva, che a distanza di tempo risultano poco logiche e spesso antieconomiche, ma che sono indispensabili nell’immediato, per dare sfogo alla “rabbia” popolare.
Il dover cancellare a tutti i costi i “simboli” di una grande tragedia o di un regime forte appena rovesciato è una necessità psicologica (e persino morale beninteso solo dal punto di vista di chi si è appena insediato). A volte ciò avviene anche a costo di distruggere opere d’arte. E’ un segnale di reazione importante che nel corso della storia è sempre stato dato.
E’ questo il motivo per il quale riterrei politicamente improponibile il restauro del Ponte Morandi.
Passandoci sopra per decenni veniva da chiedersi come poteva “reggere” così esile e così alto: non dava molto l’impressione di una “cosa solida”. Purtroppo – guarda caso, è andato giù, mettendo sul chivalà le nostre autorità per centinaia di ponti moderni non mantenuti da decenni. E’ un segno? No è una realtà!
Buttiamolo giù, per carità. Lo rifaremo speriamo più bello ma soprattutto più solido e duraturo!
Ranieri
Grazie del vostro articolo sul ponte: interessante ed anche vero, ma temo inattuabile; il ponte Morandi, nella simbologia popolare è troppo legato a fattori negativi e non c’è altra soluzione che sostituirlo, tra l’ altro con un problema, nella attuale configurazione, di numero di corsie in quanto manca quella di emergenza e sarebbe inoltre opportuno che avesse non due, ma tre corsie di marcia.
Per tutto questo insieme di fattori credo, al momento, non vi siano soluzioni alternative alla sua demolizione e rifacimento.
Sperando presto rivedervi, magari di nuovo a Genova, vi saluto cordialmente!!
ing. Davide Viziano
Rilevo che molti sono per la demolizione del Viadotto. Ora il viadotto è lungo circa 1.200 metri e la parte crollata è meno di 200 metri. Qualcuno mi deve spiegare perché il chilometro di viadotto deve essere demolito. Perché ha 50 di vita? Allora demoliamo i 500 ponti e Viadotti che hanno la stessa età! Inoltre il nuovo Viadotto verrà ricostruito sullo stesso tracciato? E’ un madornale errore! Mentre con il traffico degli anni 60 questo tracciato era fattibile, con il traffico odierno non si può far passare il traffico autostradale dentro una città fra le case. Allora si deve recuperare il Viadotto Morandi per la necessità impellente di Genova e contemporaneamente si inizia la costruzione della Gronda, che by-passa il traffico autostradale. Quando sarà realizzata la variante del traffico, il viadotto Morandi rimarrà solo per il traffico cittadino.