Articolo di Carlo Munns – Autore Ospite de La Lampadina
C’è un luogo a Roma che sin dai tempi dei Romani è stato legato alla medicina e alla salute: l’isola Tiberina. Qui era sorto sin dal III secolo a.C. un tempio ad Esculapio, il dio greco della medicina. Nei secoli vi sono succeduti tanti provvidenziali luoghi di cura e d’isolamento durante le terribili epidemie del passato.
Dal 1585 vi risiede un Ospedale curato dall’ordine dei Fatebenefratelli, e oggi intitolato a San Giovanni Calibita, un martire romano del V secolo.
Tutti lo chiamano semplicemente, il Fatebenefratelli, ma i romani, quelli con più anni, lo ricordano come l’isola dei cavadenti.
Proprio così: da oltre 150 anni, quest’ospedale ha un suo preciso posto nell’immaginario collettivo della città, e tutto a causa di un frate venuto dal Nord alla fine del 1800, che rivoluzionò le tecniche odontoiatriche con un approccio originalissimo.
Il suo nome era Giovanni Battista Orsenigo, originario del Comasco, nato nel 1837 da un‘umile famiglia ed entrato giovane nell’ordine dei Fatebenefratelli.
Scende a Roma e qui scopre la sua vocazione: cavare denti.
Ha un dono di natura, uno strumento prezioso: due mani forti come tenaglie.
In un’epoca nella quale era ancora poco diffuso il ricorso all’anestesia, la sofferenza dei pazienti spesso era aumentata dall’irrigidimento della muscolatura prodotta dalla paura scatenata, anche dalla sola vista delle tenaglie.
Ma lui, non ha bisogno di tenaglie: usa il suo pollice e il suo indice della mano destra.
Ha una straordinaria sensibilità nelle dita, e intuisce il corretto asse lungo il quale far forza per estrarre il dente, con il minimo dolore.
Il cliente è in piedi davanti a lui, sotto lo sguardo materno di un’icona della Madonna del Buon Consiglio. In un attimo, tutto è finito e il paziente torna a casa felice.
Per mantenere questa sua abilità il nostro frate “tutte le mattine, dopo un bagno ghiaccio, si esercita un quarto d’ora a roteare una specie di clava del peso di una decina di chili“.
L’ambulatorio di fra’ Orsenigo nell’ospedale dell’isola Tiberina, apre nel 1870, e incontra subito un tale successo che si decide, per evitare ressa all’interno dell’Ospedale, di collocarlo in un locale attiguo alla Sacrestia di San Giovanni Calibita, una chiesetta facente parte del complesso ospedaliero, con accesso diretto dal lato del Ponte Quattro Capi.
Tanta gente comune, e spesso povera, accorre. Ma anche molti personaggi importanti ricorrono alle sue mani potenti: ministri come Francesco Crispi e Quintino Sella, letterati come Giosuè Carducci, attori, cantanti come Adelina Patti, la stessa Regina Margherita, e il papa Leone XIII.
Orsenigo lavora gratis, ma volentieri accetta un’offerta per i suoi poveri.
Con il ricavato del suo lavoro, egli metterà insieme un consistente capitale con il quale edificherà nel 1896, un ospedale per i poveri a Nettuno, ancora oggi esistente.
Una cosa particolare: Il nostro frate pensa che il miglior modo di dare gloria a Dio per la sua opera, sia conservare tutti i denti estratti, che vanno a finire in “tre enormi casse della capacità di quasi un metro cubo, piene zeppe di denti cavati da lui, e divenuti col tempo di un giallo scuro, somiglianti a grossi chicchi di caffè crudo”.
A una conta effettuata nel 1903, l’anno prima della morte, i denti estratti erano già arrivati a 2.000.744, e proprio per questa sua performance, Fra’ Orsenigo è entrato nel 1972 nel “Guinness mondiale dei primati”.
Il nostro originale dentista muore nel luglio 1904, all’età di 67 anni. Cosa fare di quei 120 chili di reliquie del dolore umano? Una parte finisce nelle acque del sottostante Tevere.
Ma qualcuno ha un’idea migliore: il calcio di quei molari, canini e incisivi, anche se un po’ ridotto male, può essere ancora utilizzato insieme con altri materiali, per la pavimentazione di qualche strada nei dintorni dell’isola Tiberina. E secondo la voce del popolo, sembra che così sia avvenuto!
Ora, quando passeggerete intorno all’isola Tiberina, state attenti a dove mettete i piedi.