Quando oltre cinquant’anni orsono frequentavo il corso di laurea in ingegneria elettrotecnica, in una delle materie di studio si prendevano in esame i possibili modi per produrre energia elettrica per applicazione industriale, diversi da quelli già in essere all’epoca (termico, nucleare, idraulico). Tutti fondati sullo sfruttamento della energia disponibile in natura. Allora erano presentati come “futuribili” per la mancanza di una tecnologia sufficientemente sviluppata.
Le centrali eoliche parte (ahimè) del panorama in molte aree del paese e i pannelli fotovoltaici che vediamo ovunque, sia sui tetti delle case sia su degli appezzamenti di terreno sono diventati ora una realtà.
Ma oltre allo sfruttamento della energia del vento e di quella del sole, si parlava allora anche della energia delle maree.
Mi sono chiesto: in questo settore a che punto siamo? Sono stati fatti progressi?
Una centrale mareomotrice è attiva in Francia fin dal 1966. Questo impianto sfrutta lo stesso principio delle centrali idroelettriche poste sui corsi d’acqua che sfruttano le differenze di altitudine. Quando la marea è alta l’acqua, attraverso le turbine, fluisce dal mare aperto a un bacino riempiendolo, quando la marea è bassa, sempre attraverso le turbine, l’acqua rifluisce dal bacino al mare aperto. il dislivello che si crea tra alta e bassa marea raggiunge in quel luogo (St Malò) la ragguardevole altezza di 13,5 m – questo ha permesso di realizzare una centrale con una potenza “installata” [potenza massima producibile] di 240 MW che fornisce circa il 3% dell’energia elettrica consumata in Francia.
Impianti di questo tipo non hanno però avuto grande diffusione perché pochi sono i luoghi nei quali la differenza di livello tra alta e bassa marea (ampiezza di marea) è significativa e, contemporaneamente, la topografia permette la realizzazione delle opere necessarie.
La centrale di questo tipo più grande al mondo si trova in Corea de Sud.
Più recentemente invece si sono realizzati impianti che sfruttano un diverso principio: sono le correnti prodotte dalle maree a muovere le turbine– se volete è un principio concettualmente simile a quello delle centrali eoliche.
L’alternarsi della alta e bassa marea provoca l’insorgere di correnti, se nel mezzo di queste correnti si pongono delle turbine, ancorate al suolo che muovono dei generatori collegati alla terraferma mediante dei cavi elettrici, l’energia elettrica prodotta può essere convogliata al sistema elettrico della terraferma.
Il maggiore di questi impianti fino ad ora realizzato si trova nel Nord est della Scozia, nel tratto di mare che separa le isole Orcadi dalla terraferma. Al momento sono in funzione solo 4 turbine da 1.5 MW ciascuna ma per l’anno in corso è prevista l’installazione di altre 49 turbine fino a raggiungere una potenza complessiva di 73.5 MW. (Per farsi una idea di che cosa significhi questo numero si tenga presente che la potenza elettrica installata in Italia ammonta a oltre 117.000 MW).
L’aspetto più interessante è che questo tipo di installazioni richiede investimenti molto inferiori e molti di più sono i siti potenzialmente interessanti.
Al momento la tecnologia è ancora in fase pre-commerciale e sono necessari investimenti in ricerca perché si possa pensare a una applicazione su larga scala ma ci si può attendere che saranno realizzati molto più largamente che non quelli “tipo St Malo”.
Ci sono anche altri progetti che pensano al mare come fonte di energia: impianti mossi dalle onde, impianti che sfruttano la differenza di temperatura tra le acque superficiali e quelle profonde, impianti che sfruttano le differenze di salinità, ma tutti questi sono ancora in una fase ancora più acerba.
Il diffondersi della mentalità “ecologica” che privilegia l’impiego delle “fonti rinnovabili” fa pensare che sempre più risorse saranno destinate alla ricerca in questi settori. Tra qualche anno se ne parlerà più diffusamente.
Subscribe
0 Commenti