ABBIAMO OSPITI/CULTURA – La storia sconosciuta di due campioni di nobiltà

Articolo di Marco Patriarca – Autore Ospite de La Lampadina

La locandina dell'incontro del 1936Sabato 6 Giungo 1936 a New York il traffico comincia a bloccarsi fin dal ponte di Brooklyn e fino al Bronx. Lo Yankee Stadium, presidiato da centinaia di poliziotti, pullula fin dal pomeriggio di cameramen, di un esercito di fotografi e giornalisti e di una folla vociferante e variopinta accalcata all’entrata ancora vigilata dello Stadium.
Joe Louis, detto il Black Bomber, per la 25 esima volta difenderà il titolo di campione del mondo dei pesi massimi, battendosi questa volta con il temibile campione tedesco Max Schmeling, un gigante di consumata tecnica.
Tutti in America sanno ciò che sta avvenendo in Germania e in Europa e questo non è solo “il grande match dei campioni” ma la lotta per un primato di civiltà: fra il nazismo razzista e la democrazia liberale americana.
Schmeling mette al tappeto Luis nel 1936Dal Maine alla California tutte le radio sono accese, persino nei villaggi gli altoparlanti in strada seguonI primi tre round sono tecnici; al quarto, dopo una dura battaglia, Joe Louis finisce in ginocchio. All’ottavo round è K.O. Lutto nazionale in America e in tutto il mondo filo americano. Hitler esulta e riconferma con folle cecità il primato della razza ariana (anche se Schmeling è olivastro).

Sono passati due anni e, come è consuetudine, il perdente Joe Louis pretende la rivincita. Mentre Hitler, inferocito contro tutti, ormai minaccia il mondo intero, il 19 Giugno del 1938 Schmeling, torna allo Yankee Stadium.
L’atmosfera è esplosiva, la folla intorno a tutto il Bronx è incontrollabile e vi è già stato qualche episodio di violenza contro qualche tedesco. I due primi round sono fatti di duri assalti e senza schermaglie tecniche; mentre il pubblico ha il fiato sospeso, al terzo round Schmeling non riesce ad evitare il doppio assalto di Joe alla testa e al ventre e cade a terra. È K.O. La rivincita di Louis nel 1938
La folla è al settimo cielo. Schmeling è a terra grave, viene subito soccorso; gli vengono poi riscontrate tre fratture alla costole e il timore di concussione. Joe lo va a trovare in ospedale più volte, lo assiste come può, chiacchierano e divengono amici.
Nel 1942 Joseph Louis Barrow ha già perso il titolo (contro Rocky Marciano), è richiamato alle armi e parte per l’Europa in un’unità (segregata) della U.S. Army. Oltre che campione Joe è un patriota e con grandiosa generosità dona a Uncle Sam, cioè all’esercito, quasi tutti i 5 milioni di dollari guadagnati in 7 anni di carriera, che vengono versati in un fondo a sostegno delle famiglie dei soldati in guerra.
Nel ’45 la guerra è finita e Joe è tornato felicemente a casa. Ma non tanto felicemente: nel 1948 il fisco americano si fa vivo per riscuotere le imposte sui suoi guadagni (per circa 1 milione di dollari). Louis è a terra; non combatte quasi più e non ha soldi, solo la sua casa. Un amico avvocato introduce al fisco un ricorso ben argomentato adducendo che il suo cliente non ha mai toccato quei soldi che sono stati interamente regalati alla stato. Il ricorso viene rigettato sostenendo che quella generosa donazione era stata una nobile scelta ma non lo esimeva dal pagamento. Joe è distrutto, teme per la sua casa. Cerca aiuto fra gli amici; ormai guadagna pochissimo e inizia una risicata attività di trainer ma non trova aiuti da alcuno dei vecchi compagni e amici ancora memori della sua gloria di campione mondiale.
La vicenda quasi surreale del povero Joe Louis arriva a tutti i giornali; molti gli scrivono, altri protestano contro l’Amministrazione delle tasse, e neppure la America Boxing Association ha il coraggio di combattere contro la rapacità del fisco americano. Joe non sa se è più abbattuto per l’indifferenza degli amici e delle associazioni sportive che per la mancanza dei soldi per salvare la sua casa.Joe Louis e Max Schmeling nel 1938 Un domenica pomeriggio di luglio 1949 mentre Joe sta tagliando il prato dietro casa a Brooklyn, sua moglie è seduta in veranda ascoltando musica. La campanella appesa al cancelletto suona ripetutamente. La moglie va ad aprire. È un signore dalla folta barba con un piccolo zaino sulla schiena e in mano una valigia che chiede se quella è la casa di Joe Louis. Joe da dietro la casa ha un fremito; teme che sia qualcuno del fisco e si avvicina; ha sentito lo strano accento dell’ospite ed esce ad incontrarlo. Non lo riconosce subito con quella barba; lo fissa, esita, ma sì, è proprio lui, è Max Schmeling. Si abbracciano e di siedono in veranda. Max appoggia la valigia e si sfila lo zainetto. Joe è ammutolito, anzi sbalordito, da quella visita improvvisa dopo tanti anni.
Max guarda intensamente il suo vecchio avversario, sta per parlare e dire qualcosa ma, in inglese, non sa come dirlo e resta in silenzio per molti secondi. Poi, con determinazione afferra lo zainetto, lo apre e ne trae un grosso pacco che porge a Joe.
“Che cos’è?“ chiede Joe sorpreso.
“Ho letto su un giornale tedesco di ciò che ti sta capitando – risponde Max masticando l’inglese – a causa del fisco. In quel pacco c’è un milione di dollari, un regalo che con altri ti facciamo come hai fatto tu per le famiglie dei soldati.”
Joe e la moglie sono esterrefatti mentre Schmeling tiene l’espressione soddisfatta di qualcuno che ha appena concluso una missione a lungo meditata. Joe si sta concentrando:
“Max, non posso assolutamente accettare una tale…”
Ma Max con gli occhi accesi gli sequestrò le parole in gola. “Devi farlo, altrimenti mi darai un grande inutile dolore”.
Joe, come raccontò nelle sue memorie, non dimenticò mai la gioia che sprizzava dagli occhi di quel gigante che così inaspettatamente lo aveva riportato al mondo.
Quella volta Schmeling rimase a New York solo qualche giorno. Tornò in America dalla Germania, 76enne, solo nel 1981 apposta per il funerale dell’amico per partecipare con gli altri al trasporto a spalla della bara e posarla nella tomba di Joseph Louis Barrow al Cimitero Nazionale di Arlington in Virginia.

 

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