Daniela Matronola del circolo letterario “Un Mercoledì Da Lettori” ci propone il Suo commento al libro di Jorge Luis Borges.
Buona lettura!
Sì certo, la metafisica per la filosofia è speculazione sui tre temi capitali, Dio anima e mondo, ma come diceva Kant la metafisica è impossibile come scienza poiché inattingibile dalle facoltà conoscitive umane, tuttavia è possibile unicamente come poesia e come arte – infatti Borges è un poeta e artista parrà strano) visivo e visionario. Ma ‘metafisica’ è anche la poesia barocca inglese del ‘600: già Shakespeare dopotutto era poeta visionario, eufuista – molto poeta e molto visionario (in effetti Borges attinge molto alla letteratura inglese di cui è stato docente accademico e critico nel suo “La biblioteca inglese”) – come John Donne, il più grande dei metafisici inglesi, tirato fuori dai bauli e rimesso in circolo dopo 400 anni da T S Eliot a inizio Novecento, Borges usa ‘wit & conceits’, è arguto e concettoso, tira dentro ai racconti esempi e dati provenienti da qualunque ‘scienza’ e da qualunque fonte, le più disparate, cioè riunisce nella pagina con voli pindarici elementi spesso agli antipodi tra loro, e affida alla scrittura la forza suturante di tenerli insieme.
Quanto a “L’Aleph”, la stessa collocazione in coda del racconto etichettato con la prima lettera dell’alfabeto fenicio e (soprattutto) ebraico è un chiaro paradosso.
Questo fa bene il paio con quanto mi diceva il mio amico scrittore Sandro Bonvissuto (filosofo, non a caso) il quale sostiene che Borges se ne frega, nel senso che ha la forza sempre di ragionare al contrario e di smontare ogni linearità e ordine logico prestabilito abitudinario e condiviso.
Questo davvero è del poeta. Creare sempre un diversivo, “cambiare gioco dall’altra parte del campo” come fanno i grandi fantasisti nel calcio. Devo dire che anche quanto a ‘metodo epico’ e ‘mitopoietica’ Borges è in comunicazione con alcuni grandi del suo tempo, il Novecento. Mescolare cronache e Storia, storiografia e narrazione, teologia e filosofia è proprio del Modernismo, coniugare tradizione e innovazione anche. Per esempio in “L’Aleph” c’è molto Edgar Allan Poe: il pozzo, la cantina, l’antro, il dettaglio minuscolo che racchiude la chiave dell’universo, tutto questo ‘fa’ molto Edgar Allan Poe, e richiama però anche la ‘fearful symmetry’ di William Blake, il vero SUBLIME: la terribile bellezza.
Cioè torniamo al ‘600, alla sensibilità barocca, alle forme circonvolute che mostrano e nascondono l’essenza.
Tutto questo rimanda alla grande lezione della letteratura spagnola, di cui Borges è degno erede e nuovo campione.
Forse a Borges possiamo attribuire anche una sorta di riappropriazione della grande tradizione letteraria continentale, strapparla all’anglo-predominio (chissà… ), essendo Borges, è vero, argentino, ma molto in linea con la tradizione della letteratura in lingua spagnola e non sudamericana.
La pesantezza che io avverto è nel carico di tradizione che insiste sulla scrittura di Borges, come se trascinasse sulle spalle tutta la grande letteratura che egli sa bene essere esistita prima di lui e alla quale Borges sente di dover guardare portando rispetto, il che è encomiabile ma è anche vagamente presuntuoso, soprattutto nei fatti pesante.
Insomma do ragione a Cortazar, ecco.
Sono d’accordo però sul fatto che alle sue pagine è bene ogni tanto tornare. Ma io non lo sento congeniale a me, non del tutto almeno.
Ok, non volevo abbondare così tanto, ma poi se mi metto a scrivere finisce sempre così, a lenzuolate – nocive almeno quanto le pistolettate e le pugnalate che dopotutto a Borges piacciono tanto..