Mi sono preparata al fine settimana veneziano con gli Amici de La Lampadina già pregustando ciò che non mi delude mai: lo stare veneziano, i ritmi, la calma sospesa delle vie d’acqua non battute dai vaporetti, i campi che si aprono deserti, via dalla pazza folla, solo un passo a destra dalle vie a scorrimento veloce, piene di traffico umano, che segue insegne gialle e nere con le direzioni più famose: San Marco, Ferrovia, Accademia. Ho sempre l’impressione che arrivino in luoghi diversi da quelli dove vado io. Ma ormai ho imparato, i luoghi sono gli stessi, gli occhi sono diversi.
L’appuntamento autunnale de La Lampadina per seguire con Ludovico Pratesi (appunto, altri occhi) la Biennale di arte veneziana e non solo, è divenuto imprescindibile nel nostro calendario associativo. Venezia è una città nella quale bisogna tornare spesso, c’è sempre tanto da vedere e così poco tempo a disposizione..
Questa volta abbiamo iniziato con qualcosa di prettamente veneziano: tutti arrivati e smistati nelle varie accomodation ci siamo concessi un po’ di tempo “fermo” in fondamenta Ormosini con cicheti e qualcosa più di un’ombra di vino, e poi, via alla volta della Fondazione Cini all’Isola di san Giorgio, raggiunta, nonostate gli scioperi generali proclamati in tutta Italia, con due taxi, dato che il traffico lagunare era ridotto ai servizi essenziali.
La bellezza e la pace che regna a San Giorgio in quanto isola è particolare, pensando che soli 450 metri la separano da San Marco e dalla sua esuberanza.
La visita alla Fondazione Cini ci rivela un angolo immoto di Venezia, un restauro fortissimamente voluto da Vittorio Cini, una figura di importanza vitale per Venezia per tutto il secolo scorso, di una struttura degradata dall’incuria e dall’abbandono dopo essere stata occupata da forze militari per moltissimi anni a cavallo delle due guerre mondiali. La Fondazione è stata costituita nel 1951 ed è dedicata al figlio di Vittorio, Giorgio, morto in un incidente aereo a soli 30 anni. Il ripensamento degli spazi, ad opera di Michele de Lucchi l’ha resa sede di convegni, mostre, biblioteche e centri di ricerca. Il chiostro palladiano senza soluzione di continuità si collega a quello dei Cipressi secolari e nella Nuova Manica Lunga, ha sede una biblioteca che è frequentata da studenti, ricercatori e studiosi che hanno a disposizione anche la splendida Biblioteca del Longhena.
Alle spalle del nucleo centrale ci sorprende il Labirinto di Borges, solitario e misterioso, dalle terrazze della Fondazione facilmente ne scopriamo le uscite e ne ammiriamo i messaggi.
Ciò che ci sorprenderà maggiormente è la vista delle 11 cappelle vaticane, che costituivano il Padiglione della Santa sede alla Biennale di Architettura del 2018, primo Padiglione vaticano nella storia della Biennale, realizzato a cura di Francesco Dal Co, con la partecipazione di dieci architetti chiamati direttamente dal Cardinale Gianfranco Ravasi: Francesco Cellini, Smiljan Radic, Carla Juaçaba, Javier Corvalán, Sean Godsell, Eva Prats & Ricardo Flores, Eduardo Souto de Moura, Norman Foster, Andrew Berman e Terunobu Fujimori.
Le cappelle sono diventate patrimonio permanente della Fondazione e sono dislocate nel suo Bosco.
La descrizione della visita non rende l’idea: ogni architetto ha interpretato il mandato vaticano a suo modo, a seconda del proprio credo, fosse un’entità o un’idea.
Il bosco e la sua atmosfera al tramonto hanno fatto il resto.
La nostra giornata si conclude al Circolo dell’Unione, dove ci aspettano amiche romane e veneziane per un allegro convivio affacciato sul Canal Grande.
Il mattino raggiungiamo Ludovico Pratesi ai Giardini della 58. Esposizione Internazionale d’Arte dal titolo “May You Live In Interesting Times” e qui cedo la parola a Marguerite de Merode…
“Per la Biennale di Venezia di quest’anno, alla quale Ludovico ci ha accompagnato con le sue utilissime spiegazioni, è stato scelto Ralph Rugoff, un curatore nato in America e ora direttore della Hayward Gallery di Londra dal 2006, già Direttore artistico della XIII Biennale di Lione e curatore di importanti retrospettive.
Questa Biennale è stata realizzata creando due mostre differenti con gli stessi artisti (solo 79 questa volta) per portare il pubblico venuto a Venezia a riflettere di più su cosa significhi essere artisti e sul loro lavoro.
Si visita la collettiva ai Giardini, una sorta di introduzione all’Arsenale, dove, come ci dice Ludovico “le opere degli stessi artisti si susseguono in maniera fluida e naturale, dialogando tra loro con l’aiuto di un allestimento funzionale, con pareti di legno chiaro dai colori naturali”. Tutti gli artisti citati sono comunque artisti ancora in vita, ma tutti i presenti non sono specificamente artisti.
Il titolo “May you live in interesting times” prende il nome da una citazione evocata da oltre cento anni come “antico anatema cinese” nei discorsi di politici occidentali, si vuole una risposta al clima sociale, culturale e politico attuale con l’intenzione di guardare al futuro. Dopo una prima visita ai pochi padiglioni selezionati da Ludovico (Francia, America, Brasile, Austria, USA, Paesi Bassi, Ghana all’Arsenale e altri) e con interessanti lavori non sempre legati al tema della Biennale, abbiamo affrontato una mostra ai Giardini un po’ affollata e difficile da percorrere. Poco spazio, molta gente e tanto da vedere. In compenso, il pomeriggio passato all’Arsenale è stato un interessante approfondimento del lavoro degli artisti già presenti nella mostra. Avevamo visto l’infernale macchina del cinese Sun Yuan che riproduce i movimento del corpo umano e rivediamo un altro suo lavoro altrettanto disturbante. Bei video, parecchia tecnologia e un po’ di realtà virtuale che non poteva mancare.
Impressionante e di grande qualità il Padiglione del Ghana intitolato Ghana Freedom, curato da Nana Oforiatta Ayim: una riflessione sull’eredità e le traiettorie di quella libertà attraverso il lavoro dei sei artisti che rappresentano anche tre generazioni. Infatti si pensava, quest’anno, che vincesse la gara. Ci sono le famose tessiture, come arazzi bellissimi e dai colori intensi, dell’artista El Anatsui, spesso citato nelle precedente biennale, che occupano grande spazio nell’Arsenale, una proiezione cinematografica a tre canali di John Akomfrah e altri bei lavori di altri 4 importanti artisti locali.
Comunque come sempre la presenza di Ludovico è fondamentale per una lettura più comprensibile delle opere in mostra. Faccio un breve commento sul padiglione italiano in fondo all’Arsenale: “imbarazzante” e non aggiungerò altro.”
All’Arsenale, l’artista svizzero Christoph Büchel porta il relitto del barcone che il 18 aprile 2015 affondando fece oltre 700 vittime. Si chiama “Barca nostra”.
È solo una delle decine di opere che parlano di immigrazione, emigrazione, fuga, e non si può certo dire che questa Biennale non indaghi e scandagli tutto “l’interessante” dei nostri tempi.
Verso l’imbrunire raggiungiamo Francesca Rocca Vattani a Palazzo Contarini Rocca Corfù per un aperitivo con vista stupefacente su tutta Venezia dalla specola del palazzo.
La vicina e storica Locanda Montin ci accoglie sotto un pergolato: è il 26 ottobre e ancora si può mangiare all’aperto!
Domenica mattina appuntamento Biennale Off all’Abbazia di San Gregorio, a un passo (vero) dalla Salute. L’Abbazia a Dorsoduro fu costruita nel nono secolo dai Benedettini e ora qui la famosissima galleria Colnaghi di Londra, insieme al famoso interior designer Chanan, ha progettato e realizzato la casa del viaggiatore del Grand Tour del XXI secolo, immaginandolo circondato di capovalori di arte classica, pezzi di design vintage e opere di arte contemporanea.
Il Chiostro interno e i due piani dell’edificio raccolgono sculture greco romane e pezzi di design di recente produzione, capolavori del 1600 e paraventi contemporanei, piccole opere del Canova e vedute del Canaletto..
Sedersi sul divano del salotto ad angolo e vedere la scena che ha ispirato il quadro del Canaletto che si ha dietro le spalle è un’esperienza unica…
Un caffè alla Salute e si raggiunge in vaporetto Ca’ Corner della Regina dove ha sede la Fondazione Prada. Il commento di Marguerite alla mostra di Jannis Kounellis:
“Quest’anno Miuccia Prada dedica lo spazio della fondazione all’opera dell’artista Jannis Kounellis curata da Germano Celant. La prima retrospettiva importante dopo la sua recente scomparsa.
Sono presenti 70 opere dell’artista dal 1958 al 2016, provenienti da musei e importanti collezioni private in Italia e all’estero.
Grande protagonista dell’arte povera, la sua poesia si esprime perfettamente in questo spazio storico con un andamento cronologico nel filo delle sale del Palazzo. Leggerezza e pesantezza, fragilità e permanenza sono le parole che descrivono le opere dell’artista e che illustrano il suo percorso personale raccogliendo elementi che parlano con forza di lui, del passato e del presente. Da non mancare.”
A Venezia, tutto ciò che si vede acquista una nota di aprioristica positività data dalla struggente bellezza di ciò che gli sta intorno o lo contiene. Ca’ Corner della Regina gareggia in sobrietà e solennità con le opere di Kounellis. Se ne esce arricchiti e…. affamati e così un’altra osteria con delizioso giardino interno ci accoglie appena girata la calle della fondazione..
Il nostro fine settimana veneziano volge al termine, e ci lascia come al solito, un forte desiderio di ritornare per vedere, sentire, e assorbire quella magica energia che solo questa unica città lagunare riesce a trasmettere. Ci vediamo alla prossima Biennale o forse prima… due anni sono troppi!