“Ha parlato male di Garibaldi” era l’espressione con la quale si esponeva al pubblico ludibrio chiunque manifestasse un pensiero che andasse contro quello che l’opinione comune considerava “sacro e indubitabile”.
Mi accingo a “parlare male di Garibaldi”.
La nostra newsletter ha ospitato nell’ultimo numero un articolo che inneggiava al fatto che lo Stato Città del Vaticano avesse decretato il bando alla plastica ed auspicava che la stessa strada fosse seguita dagli altri Paesi del nostro pianeta. Lodevole la motivazione: “proteggiamo l’ambiente”, ma “ahimè” sbagliata la soluzione! Un mondo “plastic free” (esente da plastica) sarebbe letteralmente “invivibile” (o almeno consentirebbe la vita solo a una popolazione drasticamente ridotta rispetto ai numeri attuali e disposta a vivere in un modo “francescano” – secondo il significato che oggi si dà a questa parola.)
Entro in casa e mi guardo intorno. La struttura del mio tablet è di plastica – è possibile farlo senza usare la “plastica”? Chissà. Forse no o forse sì ma costerebbe molto di più, non lo so), il mio smartphone, del quale non posso proprio fare a meno, anche lui ha l’involucro di plastica: stesso discorso. E la televisione? Anche quella è di “plastica”!
E gli infissi delle finestre (se non abito in una casa di “pregio”, come la grandissima maggioranza degli abitanti della terra?) idem.
E una parte degli arredi di casa? Idem.
Salgo in macchina e cerco di immaginarmi come sarebbe (e quanto costerebbe) “senza plastica” – in fondo le automobili venivano costruite anche prima dell’”invenzione della plastica”: sì, ma ce n’erano in tutto il mondo tre, quattro “ordini di grandezza” di meno e l’automobile la potevano possedere solo coloro che avevano un certo reddito – eh, si, ma, avendocelo, come si viveva meglio!).
Faccio il pic-nic coi bambini: ho ancora in casa i piatti di metallo e la borraccia che usavo quando ero boy-scout ma, sai che fatica poi doverli lavare e sgrassare…
Se continuiamo con questa ricerca, ci accorgiamo che chi auspica un mondo “plastic free” non sa quello che dice! Appare allora chiaro che “plastic free” (esente da plastica ) è uno “slogan” semplificativo – come tutti gli “slogan” d’altro canto – ma anche ingannevole perché non è contro TUTTA la plastica ma chi lo usa vuole prendersela solo con gli oggetti “mono-uso” in plastica: le cannucce, i piatti di carta, i cotton-fioc, le buste del supermercato, gli involucri rigidi che proteggono quasi tutti gli oggetti che si acquistano (credo che si chiamino: blister) ecc e come il consenso che raccoglie da parte della gente sia fortemente dipendente dall’insofferenza per la “deturpazione” dell’ambiente causata dall’abbandono in luoghi pubblici (ivi compresi fiumi e mari) di tutti questi materiali.
In realtà l’insofferenza dovrebbe essere indirizzata verso la “maleducazione” diffusa – a livello privato e industriale che porta a disperdere nell’ambiente i rifiuti piuttosto che sulla natura dei rifiuti.
Da qualche parte ho letto questa interessante critica, un po’ paradossale, alle leggi contro l’impiego della plastica: è come se , qualora ci fosse l’uso di disfarsi delle vecchie automobili buttandole in mare, per proteggere il mare si facesse una legge che proibisce di costruire automobili!
Un secondo aspetto che viene semplicisticamente trascurato ma che comincia a trovare qualche piccolo spazio in una comunicazione tutta orientata “contro” la plastica senza “se” e senza “ma” (e dire che lo sviluppo della plastica è stata la motivazione di uno dei pochi Nobel che ricercatori italiani possono vantare): quale sarebbe il costo “ambientale” complessivo (includendo in questa valutazione anche i “costi” umani) dell’impiego di materiali alternativi (carta e legno vogliono dire alberi, metalli vuol dire miniere ed energia)?
Scrivevo all’inizio di questo articolo che la motivazione “proteggiamo l’ambiente” è lodevole e deve essere perseguita ma i furori “iconoclasti” vanno evitati. (Non è un caso che io impieghi l’aggettivo “iconoclasti” perché questa campagna che agita tutto il mondo occidentale – ma non i paesi maggiori produttori di “rifiuti” plastici, quali India e Cina – presenta molte somiglianze con il movimento “iconoclasta” che nel primo millennio della nostra era ha sconvolto il mondo di allora).
Il “populismo” è una malattia.
Le “rivoluzioni” – come sarebbe quella che obbligasse il mondo a essere “plastic free” – vanno evitate e ai problemi – che non si possono negare – si dovrebbe cercare di dare soluzioni “ragionevoli e ragionate”: incentivare il riciclo, investire nella ricerca, educare la popolazione e, soprattutto, reprimere la maleducazione.
Bene, ognuno di noi deve approfondire
Grazie per il articolo de la plastica, perché realmente dobbiamo trovare soluzione, e soprattutto educare alla popolazione.
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