Quando sentiamo questo nome subito ci viene alla mente la storia di amore con Abelardo.
Tutti conoscono la vicenda che ha coinvolto Abelardo ed Eloìsa conclusasi con la perdita da parte di Abelardo di quelli che, goliardicamente, vengono definiti i suoi “gioielli” (in verità mi rendo conto che l’aggettivo “tutti” è decisamente eccessivo; certo la vicenda la conoscono la gran parte di quelli della mia generazione ma, ritengo, che sia del tutto ignota a coloro che hanno meno di quarantanni).
Trovandomi io in Francia – sia Abelardo che Eloìsa erano francesi – ed essendo per di più sposato con una Eloisa (con l’accento sulla o) (e potete ben immaginare come al tempo del mio fidanzamento gli amici – che conoscevano i suoi fratelli – mi dicessero: attento a non fare la fine di Abelardo) mi è venuto il ghiribizzo di saperne qualcosa di più oltre ai fatti noti che i due erano stati amanti e che i fratelli, gelosi, si erano vendicati privando Abelardo dei suoi “gioielli”.
Dunque, Abelardo era un “professore” alla scuola di Parigi – quella che poi diventerà la Università della quale è considerato uno degli iniziatori e fondatori – era molto stimato e apprezzato (e anche molto “consapevole” delle sue doti) e controverso per le tesi che propugnava, eterodosse per l’epoca nelle quali viveva. Era un “chierico” – aveva gli “ordini minori” e sperava in una brillante carriera ecclesiastica.
A circa trentotto anni si invaghì di Eloìsa, una giovinetta nipote del canonico di Notre-Dame dove anche lui aveva preso dimora.
Chi era Eloìsa? Era una “bella donna”, secondi i criteri dell’epoca, alta e slanciata (e con i denti sani cosa, pare, allora rara e apprezzata) ben nota in tutta Parigi per la sua “cultura letteraria”, per la sua conoscenza del greco, del latino e dell’ebraico. Generalmente si trova scritto che avesse “sedici anni”. In realtà non se ne conosce la data di nascita – si sa solo che era figlia illegittima di un appartenente alla nobiltà più alta del paese, secondo qualcuno, dello “zio” canonico dicono altri. Alcuni ora sostengono che le due cose – sedici anni e notorietà per la profondità della cultura – siano incompatibili e quindi di anni ne dovesse avere più di venti.
Quello che è certo è che Eloìsa ha un profilo molto diverso da quello che generalmente ci si fa per una donna del Medioevo (siamo agli inizi del dodicesimo secolo) e che la differenza di età tra i due era comunque considerevole (ma si sa che tra professore e allievo – e anche a parti invertite come si legge talvolta sui giornali ed è ben noto in Francia – non siano infrequenti storie di questo genere).
Abelardo riesce a farsi nominare suo insegnante dallo zio, la conquista e inizia con lei una storia d’amore – molto carnale e appassionato. Dei suoi intrattenimenti amorosi è lui stesso a fornire dei particolari nella sua Storia delle mie disgrazie: “Aperti i libri le parole si affannavano di più ad argomenti d’amore che di studio, erano più numerosi i baci che le frasi; la mano correva più spesso al seno che ai libri” “Per non suscitare sospetti la percuotevo spinto però dall’amore, non dal furore…e queste percosse erano più soavi di qualsiasi balsamo”[un po’ di sado-masochismo?] “Il nostro desiderio non trascurò nessun aspetto dell’amore, ogni volta che la nostra passione poté inventare qualcosa di strano, subito lo provammo” [“lo famo strano?” refrain di un film di Verdone].
Tanto va la gatta al lardo che ci lascia lo zampino. Lo zio canonico li sorprende e si infuria. Un momento di tregua poi la relazione riprende senza pudore e… Eloìsa resta incinta. Abelardo la rapisce e la conduce lontano dove partorisce.
Abelardo, per ammansire lo zio, si offre di sposare Eloìsa – la quale non vorrebbe perché è contraria al matrimonio – ma in segreto (per non dover rinunciare alla carriera ecclesiastica che imponeva il celibato). Lo zio apparentemente accetta ma non mantiene il segreto e lo rivela. Eloìsa nega. Lo zio la copre di insulti. Abelardo allora porta Eloìsa in un convento dove lui tuttavia continua a farle visita e a “intrattenersi” con lei (in refettorio, racconta lui). Lo zio e la famiglia ( i famosi fratelli ) si vendicano e mandano tre scherani che sorprendono Abelardo di notte e lo privano della “arma del delitto”. Due degli autori del misfatto vengono presi, accecati e puniti con la “legge del taglione”(chi ha orecchi per intendere, intenda), nessuna conseguenza per i mandanti.
La notizia si diffonde. Abelardo scappa e si rifugia in un monastero e convince Eloìsa a prendere il velo. Dopo alterne vicende Abelardo indossa l’abito dei monaci di Cluny e diviene insegnante nella scuola del monastero. Eloìsa invece diventa badessa.
Una storia degna di un feuilleton: prima o poi Netflix ne farà una serie televisiva, ce ne sono tutti gli elementi.
Un particolare curioso per finire. Il termine Goliardia con il quale si indica lo spirito che anima le comunità di studenti che accompagnano alle necessità dello studio il gusto della trasgressione, deriva dal soprannome “Golia” con il quale Abelardo era designato ai tempi della sua ascesa.
Post navigation
Subscribe
0 Commenti