Forse non tutti sanno che i Savoia sono stati “promossi” Re solo nel 1718 con il trattato di Utrecht che pose fine alla guerra di secessione spagnola. Originariamente designati Re di Sicilia, scambiarono la Sicilia con la Sardegna nel 1720 con un accordo firmato all’Aja. Lo scambio in verità fu piuttosto “subito” che non gradito. Secondo una stima di Luigi Einaudi il “valore economico” della Sardegna era infatti solo un sesto del valore della Sicilia!
Il primo Re di Sardegna della dinastia Savoia fu Amedeo II, che è considerato il 17° Re di Sardegna.
Il Regno di Sardegna, all’epoca Regno di Sardegna e Corsica, era nato nel 1297 quando il papa Bonifacio VIII per risolvere la controversia con gli Angioini circa la titolarità del Regno di Sicilia, aveva concesso agli Aragonesi il diritto di impossessarsi dell’isola, allora suddivisa in quattro regni indipendenti, detti “giudicati” perché retti da un sovrano che prendeva il nome di judikes, dai quali derivano i quattro mori che sono nella bandiera sarda (qualcuno si potrà domandare: ma che c’entrava il papa? All’epoca le cose andavano così: gli stati “cristiani” riconoscevano – o subivano – in una certa misura anche una “ingerenza” del papa, in quanto suprema autorità religiosa, nelle loro questioni. La cosa non era affatto “pacifica” basta ricordare la reazione del Re di Francia Filippo IV che aveva portato al famigerato “schiaffo di Anagni”).
Al Regno di Sardegna vennero associati gli Stati ereditari della casa Savoia che si trovavano sulla penisola italiana; il Ducato di Savoia, il Principato di Piemonte con i ducati di Aosta e di Monferrato, la Signoria di Vercelli, la Contea di Nizza e di Asti, il Marchesato di Saluzzo, e parte del Ducato di Milano. La capitale “politica” del Regno era a Torino, mentre a Cagliari risiedeva il Vicerè. Sostanzialmente la Sardegna era una “colonia” del Piemonte. I Savoia non mostrarono particolare affezione per l’isola al punto che dal 1730 al 1748 cercarono di scambiarla con possedimenti spagnoli nel Nord Italia. La scarsa affezione d’altro canto era reciproca se una delegazione di nobili sardi nel 1747 offrì la corona di Sardegna al re francese Luigi XV.
A seguito della Rivoluzione i francesi nel 1792 cercarono di conquistare l’isola ma vennero ricacciati da forze militari pagate e organizzate dallo “Stamento militare”, antica istituzione sarda “risuscitata” per l’occasione per supplire all’inerzia del governo sabaudo. La vittoria ottenuta risvegliò il desiderio di autonomia dei sardi, desiderio che non venne assecondato dal governo centrale. Ne seguì una rivolta con la cacciata dei piemontesi e anni di contrasti interni all’isola, di contrapposizione tra cagliaritani e sassaresi, di rivolta contro il feudalesimo ancora dominante.
Negli anni dell’epopea napoleonica, l’isola offrì un rifugio ai sovrani Savoia scacciati dal Piemonte. Il re dell’epoca, Carlo Emanuele IV, si trasferì con una piccola corte a Cagliari. Il Regno di Sardegna si ridusse solo alla sua dimensione insulare. Si deve osservare che Il Regno di Sardegna e il Regno di Sicilia furono gli unici due stati italiani che rimasero indipendenti dal dominio francese.
Con il 1815 e la Restaurazione, le cose tornarono come prima e la Sardegna venne governata con la qualifica di Vicerè da Carlo Felice, figlio cadetto del Re, destinato poi a divenire anche lui re.
Tra i provvedimenti presi negli anni da Casa Savoia alcuni devono esserne citati per la loro importanza nella storia dell’isola:
- l’editto delle chiudende emanato da Vittorio Emanuele I nel 1820 concedeva a chiunque la facoltà di richiudere i terreni di sua proprietà non soggetto a servitù di pascolo, di passaggio, di fontana o d’abbeveratoio. Lo scopo era quello di “proteggere l’agricoltura senza danneggiare la pastorizia”, evitando che le greggi potessero passare su terreni coltivati devastandoli. In realtà questa legge provocò, soprattutto in alcune zone, gravi malcontenti per gli abusi. Vasti territori comprendenti abbeveratoi di uso pubblico e tratturi utilizzati per la transumanza delle greggi vennero recintati al solo scopo di estorcere diritti di passaggio. Basti pensare che all’epoca non esisteva un “catasto” come quello al quale siamo abituati oggi e gran parte dei rapporti si basava sulla consuetudine.
- L’abolizione del feudalesimo: gradualmente con provvedimenti successivi da parte del Re Carlo Alberto, furono aboliti tutti i privilegi feudali. Questi vennero “riscattati” attraverso rendite pagate dallo Stato. Le leggi furono accolte con favore dalle popolazioni liberate dai vincoli feudali ma anche dagli stessi feudatari, ricompensati con rendite anche superiori a quelle che si attendevano.
- La soppressione degli adempiviri. beni di uso comune, che la popolazione poteva sfruttare comunitariamente, Gli adempiviri furono assegnati ai comuni i quali li vendettero a privati.
- La Fusione. La Fusione perfetta decretata nel 1847, su richiesta degli stessi liberali sardi, sempre da Carlo Alberto tra la Sardegna e gli Stati di Terraferma con l’estensione alla Sardegna dell’organizzazione amministrativa e legislativa degli Stati di Terraferma. Con questo provvedimento la Sardegna perse la sua specificità e la sua autonomia, riconquistata solo parzialmente con l’adozione nel 1948 di uno statuto speciale da parte della Repubblica Italiana.
In buona sostanza questi provvedimenti hanno teso ad “ammodernare” la società sarda ma poiché seguivano linee culturali “continentali” estranee alla cultura locale hanno avuto difficoltà a essere metabolizzate.
Il Regno di Sardegna ha cessato di essere definito tale nel 1861 quando l’allora Re di Sardegna assunse il nome di Re d’Italia. Alcuni costituzionalisti sostengono che il Regno di Italia non dovrebbe essere considerato un “nuovo” Regno ma solo l’estensione del Regno di Sardegna per l’acquisizione di nuovi territori. Questa tesi è corroborata dal fatto che il re Vittorio Emanuele, primo re d’Italia, ha conservato nel suo titolo l’ordinale “secondo” affermando così la continuità con il primo Vittorio Emanuele che era Re di Sardegna. (Quando con una riforma il Regno di Sicilia e quello di Napoli furono riuniti in un unico “Regno delle due Sicilie” il re Ferdinando, aveva cambiato l’ordinale da IV, re di Napoli, in I re delle Due Sicilie sottolineando così la discontinuità).
Quale il frutto maggiore del rapporto tra i Savoia e la Sardegna? La Italianizzazione dell’isola, prima più orientata verso la penisola iberica che verso quella italiana.
Alla Sardegna sono appartenute nel XX secolo personalità italiane di primo piano: due Presidenti della Repubblica: Antonio Segni e Francesco Cossiga, il pensatore politico Antonio Gramsci, il segretario del PCI Enrico Berlinguer, il premio Nobel Grazia Deledda e altri ancora. Fra l’altro, Berlinguer, Segni e Cossiga, erano fra loro cugini e sassaresi della stessa parrocchia di San Giuseppe, abitavano a 300 metri l’uno dall’altro e andarono tutti allo stesso liceo.
Caro Carlo,
grazie per la luce della tua Lampadina che ha rischiarato i tempi grami che attraversiamo.
Permettimi di dirti che una leggenda metropolitana dice che la Sardegna all’arrivo dei Savoia era verde e boscosa come la Corsica oggi.
Pare che i Savoia dettero in appalto i suddetti boschi per rifarsi delle spese di guerra e che in pochi anni l’isola fu desertificata.
Sarà vero?
Roberto
Nel mio articolo ho scritto che la Sardegna è stata trattata come una colonia e questo di un appalto dato al fine di fare denaro è certamente un aspetto molto verosimile.
Rilevo due cose : la Fusione con il Piemonte e la perdita di autonomia sono state sollecitate dalle élites liberali sarde.
Oggi ancora la Sardegna è la regione italiana con la maggior estensione boschiva.
La Corsica è bellissima ma….
La deforestazione coloniale della Sardegna è un fatto storico ben documentato (si vedano, ad esempio, il lavori di Caterini o di Mattone e Berlinguer). A chiedere la “Fusione”, che verrà decretata da Carlo Alberto, furono membri degli Stamenti (gli antichi stati generali del regno) di Cagliari e di Sassari a titolo personale, senza alcuna delega né rappresentatività né stamentaria né, tanto meno, popolare. Il Parlamento neppure si riunì. Tanto che Sergio Salvi, lo scrittore e storico fiorentino gran conoscitore di “cose sarde” ha parlato di “rapina giuridica”.