ABBIAMO OSPITI/ INGEGNERIA-ARCHEOLOGIA – La casa di Caligola

Articolo di Massimo Cestelli Guidi, Autore Ospite de La Lampadina

All’inizio dell’anno scorso ho ricevuto un incarico professionale dalla Fondazione ENPAM per una Consulenza Tecnica di Parte, unitamente ad altri due Consulenti, riguardo la causa che ha intentato ad ENPAM l’Impresa di Costruzioni che ha realizzato la nuova sede della Fondazione, a Roma in piazza Vittorio. Nella causa, attualmente in fase di Appello, il Giudice, contrariamente a quanto avvenuto in primo grado, ha concesso una CTU ( Consulenza Tecnica di Ufficio ).
La nuova sede è stata realizzata sul terreno di piazza Vittorio, compreso fra via Conte Verde e via Emanuele Filiberto. Su questo terreno, di proprietà della Società che poi ha realizzato l’edificio dell’ENPAM, era presente un immobile bombardato, a stabilità precaria. È successo che durante l’unico bombardamento avvenuto a Roma nel 1943, nel quartiere di San Lorenzo, ad un bombardiere si è sganciata con ritardo una bomba che ha poi colpito questo edificio.
L’edificio è stato poi demolito per iniziare nel 2002 la costruzione di un nuovo immobile ad uso abitazione con locali commerciali al piano terra, progetto poi modificato nel 2005 ad uso uffici, con 4 piani interrati, per adeguarlo alle esigenze della Fondazione, ENPAM.
Già dall’inizio degli anni novanta la Soprintendenza Archeologica di Roma, con numerosa corrispondenza, aveva avvertito la Società proprietaria del terreno che nel sottosuolo era presente la prosecuzione degli Horti Laminiani, documentati da Lanciani, in parte distrutti alla fine dell’Ottocento, ma ricomposti nel volume “Le tranquille dimore degli Dei” ad opera di Eugenio La Rocca e Maddalena Cima.
Si tratta di una lussuosa Residenza impiantata in età augustea dal Console L. Elio Lamia, acquisita al demanio imperiale sotto Tiberio e utilizzata da Caligola come villa urbana. Le strutture archeologiche rinvenute in una parte del sito occupato e dall’edificio ENPAM, erano situate ad una quota variabile fra – 5 metri e – 8m dal piano campagna. Erano costituite prevalentemente da tratti di pareti murarie, una scala monumentale, un ampio massetto, di supporto di un pavimento, privo dei soprastanti mosaici, asportati nel passato. Per queste strutture, che risultavano inamovibili, è stata allestita al primo piano interrato dell’edificio ENPAM un’area museale, tuttora nella fase finale di rifinitura.
Una descrizione dettagliata degli Orti Laminiani, comprendente la zona dell’edificio ENPAM, con i numerosi ritrovamenti archeologici che sono stati rimossi e depositati nei Musei Capitolini e nella Centrale Montemartini di Roma, è riportata nella interessante ed ampia pubblicazione redatta dalla Dott.ssa Maria Rosaria Barbera della Soprintendenza Archeologica. La Dottoressa fra l’altro ha seguito tutte le vicende, relative all’archeologia, del sito dell’edificio ENPAM, sia nella fase precedente i lavori che nella fase di cantiere. La pubblicazione è disponibile su Internet: “La villa di Caligola. Un nuovo settore degli Horti Laminiani scoperto sotto la sede dell’ENPAM a Roma (FASTONLINE DOCUMENTS & RESEARCH).
Il ritrovamento di questo vasto complesso residenziale nel sito dell’edificio suddetto non deve meravigliare, perché a Roma ovunque si scavi si trovano al disotto di 5-7 metri i resti della Roma imperiale che in una data epoca aveva raggiunto l’incredibile popolazione di un milione di abitanti.
Nei primi anni Novanta, quando a Roma si costruivano parcheggi interrati in varie zone, una Società voleva realizzare un parcheggio interrato sul sito all’uscita del traforo Umberto 1° su via Nazionale. I saggi preventivi effettuati hanno rilevato sotto 6 mt dal piano stradale, colonne, archi, ecc. di una villa romana, fatto che ha quindi dissuaso la Società dal realizzare l’opera.
In alcune zone di Roma non si sono rilevati reperti archeologici. È nota la perizia dei Costruttori della Roma antica, perizia che si manifestava non soltanto nella qualità delle opere realizzate ma anche nella scelta dei siti dove realizzare le opere. Nei primi anni Settanta un ingegnere mi ha portato a vedere nella zona adiacente la via Tiburtina, un edificio che faceva parte di un comprensorio edilizio in realizzazione denominato “Tiburtino Terzo”, edificio che aveva subito dei vistosi cedimenti in fondazione, causa le pessime caratteristiche del terreno. L’ingegnere mi ha detto: “Vedi i progettisti del comprensorio sono stati molto soddisfatti perché dalle indagini e dai sondaggi effettuati in questa zona non sono stati rinvenuti reperti archeologici. Certamente non c’erano reperti archeologici, perché i terreni sono così pessimi per le fondazioni che i Costruttori dell’antica Roma si son ben guardati dall’edificare qui!”
All’inizio degli anni Ottanta, la Soprintendenza archeologica di Roma ha iniziato a scavare nel Circo Massimo, dalla parte di piazza di Porta Capena che era la zona da dove entravano le bighe. La Soprintendenza mi ha dato un incarico per garantire la stabilità della Torre Frangipani, man mano che procedevano gli scavi intorno alla Torre. Si sarebbe dovuto scavare per circa 10 metri dal piano stradale, ma si sono dovuti interrompere gli scavi dopo 5 metri perché si è intercettata la falda acquifera che scende dalle Terme di Caracalla e va verso il Tevere.
Il livello della falda in quella zona era naturalmente più basso all’epoca di Roma antica, altrimenti non sarebbero potute entrare le bighe nel Circo Massimo. Questo livello è iniziato a crescere quando i Piemontesi hanno costruito lungo il Tevere i muraglioni che tuttora vediamo, perché il muraglione ha realizzato una specie di diga per la falda sotterranea innalzandone nel tempo il livello.
È stato interessante trovare, nei primi scavi effettuati, una segheria di marmo del Settecento.
Esercitando la professione soprattutto a Roma, ho avuto spesso occasione di lavorare con la Soprintendenza Archeologica, interventi che indubbiamente hanno dato un interesse aggiuntivo al lavoro d’Ingegneria.

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