LA LAMPADINA/RACCONTI – A scuola come in una favola

Racconto di Paola Maddaluno, Autore ospite de La Lampadina

Settimo giorno di viaggio ed Elisa era molto stanca. Aveva scelto un viaggio organizzato perché pensava che fosse più riposante. Il risultato atteso invece era diverso. L’itinerario era molto interessante, partenza da Napoli con tappa a Paestum per raggiungere Vibo Valentia ed imbarcarsi per la Sicilia. Qui in questa isola ricchissima di storia, arte e bellezze naturali, ogni giorno si raggiungevano luoghi bellissimi ma anche poco conosciuti. Sarebbero stati portati sino ad Agrigento per vedere la Valle dei Templi.

Il punto è che gli spostamenti erano così fitti che si camminava poco e questo a Elisa non piaceva e poi tutto con un orario ben preciso, lei si sarebbe fermata volentieri a fare un bagno su qualche spiaggia e a mangiare il pesce, invece solo guide e spiegazioni su ogni dettaglio. L’unica cosa che era riuscita ad ottenere grazie alla sua taglia forte era un posto da sola sul pullman senza quindi un vicino. Almeno così si poteva muovere e a volte tirava su le gambe e le allungava un po’ sul sedile attiguo. Non era molto alta e quindi riusciva a raggomitolarsi su entrambi i sedili del pullman da lei maldestramente occupati. Che dire?! Dopo sette giorni, voleva cercare una scusa per potersi fermare e tornare indietro.

La sera parlò al telefono con una sua amica della sua grande noia e che era stanca di quel viaggio. Cosa avrebbe potuto fare?! L’amica le suggerì le solite cose, mettere le cuffiette e ascoltare la musica oppure informarsi se c’era un modo per tornare indietro. C’erano luoghi della Sicilia molto più ameni come per esempio le isole Eolie, da lì c’era anche la nave che portava a Napoli e sarebbe potuta facilmente tornare a casa.

Purtroppo Elisa ormai non era più risoluta come un tempo e non era in grado di prendere alcuna iniziativa. In lei ogni sentimento era rimasto come compresso e non era in grado di reagire. Il punto che rimaneva oscuro è che ormai era diventata intollerante a tutto. Non voleva socializzare e qualunque attività la disinteressava. Durante le visite di quel bel viaggio non sempre riusciva a seguire le spiegazioni e si distraeva, guardandosi intorno; con i compagni di viaggio c’erano sì le cene in albergo, ma con la scusa che era in sovrappeso e doveva mangiare poco, andava via prima che portassero tutte le portate. Chi le stava intorno, osservandola, si domandava come mai fosse così apatica.

Tutto era cominciato alcuni anni prima quando era andata ad insegnare in una scuola dell’hinterland napoletano non molto ben collegata. Le sembrò una sfida che bisognava affrontare, si sentiva piena di ideali ed era motivata, insegnare ai disagiati per portare un po’ di luce in quei luoghi così lontani e malmessi. Quasi tutti i suoi allievi non avevano neanche mai visto Napoli e alcuni ne ignoravano quasi l’esistenza. Sentivano che le loro vite erano tracciate dall’appartenenza a certe famiglie e quindi la scuola era solo un momento passeggero per evitare che ci fosse qualche controllo sui loro genitori. Un parcheggio temporaneo per poi occuparsi di altri affari.

Eppure Elisa continuava a sperare di poterne salvare almeno uno dei suoi allievi e cercava di preparare le lezioni, portando anche dei libri che prestava volentieri ai suoi allievi. Una goccia nel mare, ma qualche tentativo voleva pur farlo.

Molti dei libri prestati, tornavano solo dopo pochi giorni, praticamente non venivano neanche letti. Un giorno però con un libro venne anche un genitore. Uno uomo di mezza età che le spiegò in dialetto stretto che lei non doveva chiedere i soldi a suo figlio e che suo figlio non voleva comprare nessun libro.

Si era così finiti dal Dirigente Scolastico che capì come quel scugnizzo napoletano avesse inventato tutta quella storia per avere dei soldi dal padre. Elisa non trovò molto divertente questa situazione e si sentì umiliata, anche perché il suo superiore non riuscì a capire come lei potesse essere così ingenua a fidarsi di quei ragazzi. Le disse in privato che, francamente, non era tagliata per quell’ambiente e le consigliò di mettersi in malattia per poi chiedere un trasferimento. Il Dirigente si stava domandando come potesse essere stata così sprovveduta. Praticamente lei non era più una vittima bensì un personaggio che aveva creato con il suo attivismo, un grande sconquasso nella scuola, una specie di untore.

Così si ritrovò a casa in malattia, ma la malattia le venne veramente perché la depressione iniziò a crescere nel suo animo. Nessun collega la chiamava, additata come era di essere una guastafeste, in più vi era il rischio della visita fiscale per cui era condannata a casa in solitudine e in compagnia solo della sua cultura, che però non poteva condividere con nessuno. L’unica libertà che poteva avere, era durante l’ora di pranzo – fascia oraria esente dalla visita fiscale, e quindi usciva per fare una passeggiata e camminare, rinunciando però a mangiare sano e si comprava una pizza a libretto o una pizza fritta per consolarsi, con un conseguente effetto sul suo peso. Ma questi erano i suoi unici momenti di serenità.

Alla fine, come suggerito, e dopo aver aspettato i giusti termini di legge, fece domanda di trasferimento e quando ebbe la notizia che la sua richiesta era stata accordata e che il prossimo anno avrebbe insegnato in una scuola di una zona benestante di Napoli tornò, obbligata dalle circostanze, nella scuola dove era successo il parapiglia. Ovviamente dovette ringraziare il Dirigente scolastico che l’aveva, così chiaramente lui aveva asserito, raccomandata al Provveditorato. Insomma una vera storia italiana, che aveva del grottesco.

A scuola, dove ora aveva iniziato il nuovo anno scolastico, lei insegnava però con grande timore. I genitori altolocati avevano altri difetti, facevano pressione per avere voti alti e facevano favori a tutti per ottenere certi risultati per i loro figli. Elisa ormai si sentiva frustrata e i momenti depressivi erano ciclici. Aveva provato con lo Yoga, il Pilates e la psicoterapia ma alla fine l’unica cosa che gli dava vero sollievo era camminare. Continuava con le lunghe passeggiate e trovava il tempo di osservare le bellezze di Napoli interrogandosi sul suo futuro.

Non trovava però grandi soluzioni, cambiare lavoro, provare a iniziare una nuova attività, ma poi cosa sapeva veramente fare oltre insegnare?! Era proprio vero il detto “se una cosa non la sai, uno la insegna…” e quindi non faceva altro che pensare come sarebbe stata la sua vita: si vedeva vecchia e sola nell’affrontare i ragazzi che non avrebbero avuto molto rispetto per lei. Voleva fare qualcosa di più ed è per questo che aveva pensato di fare il viaggio in Sicilia per distrarsi e riflettere un po’ sul da farsi.

Ora però mentre girava la Sicilia non aveva trovato giovamento e come diceva Seneca: “Anche se attraversi il vasto oceano, anche se ti lasci dietro terre e città, dovunque andrai ti seguiranno i tuoi vizi. Perché ti meravigli che non ti giovino i viaggi? Tu porti in ogni luogo te stesso; t’incalza cioè sempre lo stesso male che t’ha spinto fuori.” Questa volta le sembrava che avesse fallito nuovamente con le sue scelte.

Il viaggio ormai era quasi finito e nell’ultima cena organizzata in un bell’albergo era finita vicino ad una coppia. La moglie si chiamava Raffaella e il marito Domenico. Erano molto loquaci ed erano due insegnati in pensione. Con loro riuscì ad aprirsi ed espresse le sue perplessità sul ruolo della scuola oggi e condivise con loro molti punti di vista. Raffaella e Domenico avevano lasciato la scuola per andare in pensione ed erano contenti della loro scelta, che non era legata solo alla vecchiaia ma anche per liberarsi di contesti a volte nocivi.

Elisa gli chiese come passavano il molto tempo libero che avevano e loro le dissero che molto spesso davano ripetizioni e partecipavano ad un dopo scuola organizzato da una parrocchia per i bambini che non avevano genitori in grado di seguirli. Raffaella e Domenico amavano insegnare e non volevano trascurare questa loro passione, volevano solo svolgerla in un ambiente diverso, più sereno.

Elisa ebbe come una folgorazione da questa soluzione e chiese se avessero bisogno di altri insegnanti. Lei, per esempio, era disponibile nel fine settimana. I coniugi la videro giovane, ma motivata e le dissero che al ritorno ne avrebbero parlato al coordinatore della scuola per presentarla in questo nuovo contesto povero, ma bisognoso.

Tornata a casa, Elisa aspetto fiduciosa una telefonata di Raffaella e Domenico e quando loro la chiamarono per darle un appuntamento al centro, provo un grande senso di gioia. Finalmente era arrivato qualcosa che la scosse da quel torpore in cui era finita. Si recò al centro e il coordinatore le parlò e le illustrò le varie attività, tra cui la creazione di una piccola biblioteca con le varie donazioni di libri che ricevano. Il coordinatore le disse che bisogna sempre non trascurare la lettura, insomma condivideva con lui proprio tutti i pensieri e immediatamente diede disponibilità per il venerdì pomeriggio.

Iniziò praticamente subito e le affidarono una bambina con DSA che aveva molti problemi nel leggere. Elisa iniziò a cercare su Internet e a documentarsi su quale metodo migliore bisognava utilizzare. Iniziarono a lavorare sodo e la bambina, che si chiamava Linda, un pomeriggio dopo la lezione nell’andar via la salutò e le disse che da poco era stato il suo compleanno, poi le presentò la sua mamma che era venuta a prenderla. La signora in napoletano stretto la invitò per la prossima domenica a casa loro per festeggiare Linda.  Abitavano non lontano dalla scuola e lei avrebbe preparato il ragù da mangiare con i paccheri. Ci sarebbe stata un po’ di gente, ma tutti di famiglia.

Elisa, anche se sorpresa dall’invito, accettò con piacere, finalmente, non aveva problemi e poteva fidarsi dei suoi allievi che erano motivati e non cercavano di ingannarla. Fu una bellissima domenica, tutta la famiglia a tavola con i nonni, gli zii e i cugini ed Elisa scelse come regalo un audio libro e recitò una filastrocca di Gianni Rodari sull’amicizia.

Gli invitati le chiesero chi fosse questo Gianni. Elisa sorrise disse che era uno che con i bambini ci sapeva fare. Il nonno allora le disse che era proprio uno come lei. Elisa pensò che forse aveva esagerato e che tra lei e Rodari c’era una certa differenza, forse si stava montando la testa; tuttavia almeno in quel un giorno si sentì come in una favola e nella sua mente l’immaginazione iniziò a galoppare quella immaginazione che era sempre stata cara proprio a Gianni Rodari, dal quale lei trovava ispirazione e che finalmente la faceva uscire da quella stato di tristezza in cui era finita. Aveva finalmente ritrovato un po’ di fiducia in sé stessa e si convinse che ogni contesto ha una sua storia e una sua favola e che lei ne poteva essere, almeno una volta, la protagonista.

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