Come scrisse una volta lo scrittore John Updike «L’eccellenza nelle grandi cose si basa sull’eccellenza nelle piccole».
Nel 1518, Michelangelo aveva già terminato molte delle sue opere più famose, tra cui la Pietà, il David e il soffitto della Cappella Sistina. Sappiamo che era un uomo d’affari scaltro e molto protettivo nei confronti della sua immagine personale, nonché un perfezionista: non aveva nessuna remora nel distruggere e bruciare i suoi appunti, cartoni e documenti quando non pienamente soddisfatto di un’opera. Anche in punto di morte ordinò che fossero distrutte parecchie carte rimanenti, volendo forse preservare l’aura di genio divino che circondava la sua arte. Fortunatamente una parte fu risparmiata, continuando nel tempo a testimoniare la sua grandezza come artista.
Nel Museo Casa Buonarroti di Firenze è conservato uno di questi manoscritti di Michelangelo che ci è pervenuto. Sul retro di una lettera di 500 anni fa l’artista ci trasmette con dettagli un elenco di generi alimentari compilato il 18 marzo 1518 e affiancato da illustrazioni di sua mano di prodotti da acquistare per la sua tavola. Ogni cibo richiesto è abbozzato molto chiaramente per fare capire senza dubbi ciò che voleva mangiare e facilitare in quel modo il compito al suo servitore quasi certamente analfabeta. È probabile che Michelangelo abbia esaminato la lista con il suo servitore in anticipo, ma disegnando gli ingredienti lo avrebbe aiutato a ricordare mentre faceva la spesa.
Tra tutti i lavori eseguiti dalla sua mano, questo elenco approssimativo è forse l’immagine più concreta che abbiamo dell’artista stesso. Non si può scolpire come Michelangelo, ma si può mangiare come lui.
È interessante immaginare che l’artista, notoriamente mutevole, abbia preso il tempo di illustrare al suo servitore cosa volesse per cena.
In cima alla lista ci sono “pani dua” – ossia due pagnotte – seguiti da un “bochal” di vino, un’aringa, “tortegli”, una insalata, quattro pani, un bochal di tondo (un boccale di vino corposo), un quartuccio di bruscho (un quartino di vino secco), un piatello di spinaci, quatro alice, tortelli, sei pani, due minestre di finocchio, e di nuovo aringa e un bochal di tondo. La lista della spesa comprende quindici articoli, mostrando ciò che avrebbe mangiato in tre pasti distinti.
Le sue illustrazioni sono molto specifiche. Disegna due panini da consumare per un pasto, quattro panini per un altro e sei panini per il pasto finale. Raffigura due piatti di finocchi stufati affiancati, suggerendo che forse avrebbe cenato con qualcuno, insieme a ciotole che traboccavano di insalata e acciughe. Michelangelo raffigura anche un bicchiere di vino più piccolo accanto a una brocca più grande, per indicare che vuole una quantità minore di vino secco per quel pasto. L’unica cosa che non disegna sono i due piatti di tortelli perché molto probabilmente la moglie del servitore sarebbe stata incaricata di prepararli freschi per l’artista.
Il menu consiste principalmente di verdure, pesce e pane come la maggior parte degli abitanti dell’Italia del XVI secolo, innaffiando il tutto con del vino. Potrebbe sembrare particolarmente salutare, ma la lettera sull’altro lato della lista è datata, come dicevo, 18 marzo 1518, nel periodo della Quaresima e, essendo Michelangelo un devoto cattolico, è probabile che in questo periodo abbia rinunciato alla carne.
Nel The Oxford Companion to Italian Food, Gillian Riley, la famosa scrittrice di cucina inglese con un’intensa passione per la storia della gastronomia italiana, scrive che secondo lei, benché l’artista avesse fama di essere frugale, questa lista ci illustra un menù relativamente raffinato che prova che fosse probabilmente abituato a cenare con un nobile pubblico.
Il fatto che questa lista sia sopravvissuta è già di per sé una rarità, una rara visuale sulla vita quotidiana di Michelangelo che rende il documento ancora più affascinante, offrendoci uno sguardo insolito su uno dei più grandi artisti del Rinascimento.