Articolo di Gian Carlo Ruggeri, Autore ospite de La Lampadina
Iniziamo con definire cosa sia un “Osservatorio Virtuale” (OV): si tratta di una struttura che permette agli astronomi di consultare un certo numero di centri che posseggono dati astrofisici. Le grandi capacità e l’efficienza dei nuovi osservatori terrestri e spaziali hanno portato alla disponibilità di grandi quantità di dati astronomici. Allo scopo di sfruttare ed elaborare questa repentina messe di dati è necessario disporre di procedure moderne. Utilizzando nuove norme internazionali per l’accessibilità ai dati ed ai protocolli di estrazione, un sistema OV permette agli utenti di interrogare centri che conservano dati con continuità e trasparenza. Un OV concede agli astronomi un facile accesso alle immagini e agli elementi di catalogo su reti di computer remote. Tutti noi, spesso, alziamo gli occhi verso il cielo stellato e tale osservazione, in alcune circostanze, rimane nella nostra memoria come una bellisima esperienza. Attualmente, grazie ai telescopi virtuali online, possiamo rivivere quelle esperienze sullo schermo del nostro elaboratore o del nostro smartphone. Così, quindi, come esistono gli OV, vi sono le “stelle virtuali”, che hanno da circa un decimo a 10 volte la massa del Sole (la massa del Sole è di 2 x 10 30 Kg, ovvero 333 mila Terre).
In questo ambito, la NASA ha effettuato una simulazione che si colloca fra le prime a combinare gli effetti fisici della teoria della relatività generale di Einstein con i modelli realistici di densità stellare. In queste simulazioni effettuate mediante super – elaboratori, si osserva come otto stelle costeggiano un buco nero avente 1 milione di volte la massa del Sole.
Quando una stella collassa poiché le sue dimensioni scendono al di sotto del raggio di Schwarzschild, essa diventa un buco nero (cioè un oggetto con una gravità tale da non lasciare sfuggire nemmeno la luce). ll raggio di Schwarzschild è un punto di non ritorno, che prende il nome dall’astrofisico tedesco Karl Schwarzschild (1873-1916). Ogni corpo celeste esercita sugli oggetti circostanti una forza di attrazione proporzionale alla sua massa e inversamente proporzionale alla distanza. Un oggetto che si trova sulla superficie del corpo può sfuggire da esso solo se raggiungesse una velocità chiamata “di fuga”(sulla Terra essa è di 11 chilometri al secondo).
I buchi neri sono classificati in tre categorie: supermassicci, stellari e primordiali.
Nella simulazione suddetta, mentre le otto stelle si avvicinano al buco nero, tutte vengono allungate e deformate dalla gravità di esso. Alcune vengono completamente separate in un lungo flusso di gas, un fenomeno chiamato “evento di perturbazione delle maree”. Altre vengono distrutte solo parzialmente, conservano parte della loro massa e ritornano alla loro forma normale.
La differenza tra le stelle che si distruggono completamente e quelle che perdurano dipende dalla densità della stella.
Al centro della nostra galassia, verso la costellazione del Sagittario, c’è una grande massa concentrata in un corpo colossale ed invisibile, che pesa milioni di volte più del Sole: si tratta di “Sagittarius A”, un buco nero di massa enorme, con un raggio di Schwarzschild di circa dodici milioni di km; appartiene alla classe dei buchi neri supermassicci.
Il comportamento di tali buchi neri può aiutare i ricercatori a studiare le regioni turbolente dello spazio, nelle quali la materia interagisce nelle condizioni estreme: un ambito ostile e pericoloso.