Articolo di Alessandro Zimatore, Autore Ospite de La Lampadina
Le macchine da presa sono fisse come le menti di chi guarda solo alla propria “zona di interesse”. È il titolo del film, ma descrive un fenomeno di cui sentiamo spesso parlare: l’individualismo. Pensare solo a sé stessi, alla propria carriera, a coltivare il giardino del paradiso, mentre dall’altra parte del muro c’è chi vive l’inferno della morte.
In questo film si vede poco ma si immagina tanto. Ad agevolare l’uso dell’immaginazione ci pensano quei suoni incessanti, infernali, che battano sulle nostre coscienze come le bacchette sui tamburi.
La notte non fa sconti. Quando sei solo a fare i conti con la tua coscienza, allora tutto cambia. Iniziano le visioni, che non sono solo proiezioni dell’immaginazione, ma corpi che bruciano.
Un film, che sembra più un manifesto contro l’indifferenza, perché ciò che sconvolge di più della Shoah è l’indifferenza di fronte a tutte le sevizie che gli ebrei erano costretti a subire. Generali alla Hoss, che non sembravano apparentemente dei diavoli (giocavano in riva al fiume con i figli, parlavano con gli animali, curavano le piante), si rivelano degli ingegneri della morte. Dietro ogni ebreo ucciso c’era un piano deciso a tavolino, il tutto secondo logiche di efficienza e di produttività, perché anche quella del comandante nazista era una carriera, anche lei sottoposta a logiche politiche e strutturali.
Quando sei concentrato solo sulla tua zona d’interesse non vedi il resto e ti sembra di aver ottenuto quello che da sempre desideravi: “la vita di cui godiamo vale veramente il sacrificio”.
Certo, perché corrompere la propria anima, rinunciare all’amore comporta questo: una vista sul campo di Auschwitz Birkenau: una vista sulla morte.
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