Articolo di Emanuele Ludovisi, Autore ospite de La Lampadina
Nell’ambito del ciclo di incontri dedicato dalla libreria Eli alla Letteratura dell’ombra ovvero gli autori ‘dimenticati‘ dal grande pubblico, il secondo appuntamento è stato incentrato sulla figura di Guido Morselli (15 agosto 1912 – 30 luglio 1973).
Anche in questo caso, come per Antonio Delfini (l’autore che aveva aperto il ciclo degli incontri) ci troviamo al cospetto di un personaggio al di fuori dei tradizionali canoni classici del sistema letterario: non un scrittore professionista che proviene dal mondo universitario, dal giornalismo, dall’industria editoriale o comunque culturale ma semplicemente un letterato dilettante e autodidatta.
Uno scrittore che nasce ed elabora la propria narrativa atraverso un lungo e solitario apprendistato che nel caso di Morselli assume quasi le caratteristiche di una sorta di eremitaggio.
Lo scrittore nasce a Bologna in una famiglia dell’agiata borghesia della città, frequenta il liceo in un istituto dei gesuiti, si laurea in legge per andare incontro alle attese del padre con il quale non avrà tuttavia mai un rapporto semplice.
Morselli perde la madre cui era attaccatissimo a soli dodici anni, trauma questo destinato a pesare sul suo carattere e sulla sua scrittura.
Autore colto e versatile scriverà sette romanzi, quattro di carattere surreale e visionario dei quali i più celebri sono senza dubbio Roma senza papa e Dissipato H.G, opera questa che precederà il suicidio dello scrittore avvenuto nella sua casa di campagna pochi giorni prima il compimento dei sessantuno anni.
Morselli, la cui opera incentrata sui grandi temi esistenziali traccia un percorso di disincantata delusione analizzando in profondità la psicologia dei personaggi, tenterà per tutta la vita, senza successo, di pubblicare i propri scritti: i suoi libri verranno difatti editi solo anni dopo la morte.
Dei tre romanzi che possiamo definire con un caratere ‘classico’, Uomini e amori (prima opera narrativa e romanzo di formazione), Un dramma borghese e Il comunista, una particolare riflessione merita proprio quest’ultima opera che disegna una lucida e acuta analisi delle contraddizioni ‘piccolo borghesi’ di una parte del gruppo dirigente alla guida del partito comunista italiano nel dopoguerra.
Il libro non piacque al sistema letterario che lo rifiutò con un vero e proprio atto di censura (celato dietro una raffinata e motivata lettera critica) per mano di Calvino, uno degli importanti scrittori italiani operativo in quegli anni.
Rileggendo oggi Il comunista si resta colpiti nel constatare come tante delle osservazioni contenute nel libro, tratteggiando la storia e i suoi protagonisti, siano tutt’ora attuali e come le vicende politiche costituiscano in realtà spesso solo il riflesso delle deformazioni dei vizi di ogni avventura esistenziale.
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