Scelta singolare: sono stati capaci di rappresentare davanti agli occhi di milioni di telespettatori di tutto il mondo una storica macchia del loro passato.
Uno dei quadri (a dire il vero neanche quello più discutibile) che punteggiavano il percorso lungo la Senna degli atleti partecipanti ai giochi olimpici, raggruppati nelle loro rappresentanze nazionali, mostrava la regina Maria Antonietta decapitata che sosteneva la sua testa.
Non esattamente qualcosa di cui gloriarsi.
Ancora in Francia si celebra il mito della Rivoluzione come fondante dei valori della Repubblica (guai a parlarne male). La sottoscrizione della ‘Dichiarazione dei diritti dell’uomo e del cittadino’ dell’agosto 1793 – che è il substrato di quasi tutte le costituzioni degli Stati moderni – è sufficiente a passare sopra ai massacri operati dai rivoluzionari.
Alexander Solgenitsin, insignito del premio Nobel per la letteratura nel 1970, personaggio assai noto per le persone della nostra generazione a motivo del suo capolavoro Arcipelago Gulag nel quale denuncia le atrocità del sistema comunista sovietico, ma del tutto dimenticato e ignoto ai giovani di oggi, in un memorabile discorso commemorativo degli eroi della Vandea diceva: «La rivoluzione fa emergere istinti di barbarie primordiale, le forze sinistre dell’invidia, dell’avidità e dell’odio. È sempre più compreso che i miglioramenti sociali che tutti desideriamo con passione possono essere raggiunti attraverso lo sviluppo evolutivo normale. …La Rivoluzione Francese si è svolta sotto lo striscione di uno slogan autocontraddittorio e irrealizzabile: “libertà, uguaglianza, fraternità.” Tuttavia, nella vita della società, libertà e uguaglianza sono concetti mutuamente esclusivi, persino ostili. La libertà, per sua stessa natura, mina l’uguaglianza sociale, mentre l’uguaglianza sopprime la libertà – come potrebbe essere altrimenti? La fraternità, invece, appartiene a un ambito completamente diverso; in questo caso, è semplicemente un accattivante aggiunta allo slogan. La vera fraternità si raggiunge non attraverso mezzi sociali, ma spirituali.»
Il motto rivoluzionario “Liberté, egalitè, fraternitè” è diventato il simbolo ufficiale dello Stato Francese che non ha mai fatto seriamente i conti con le devastanti conseguenze della Rivoluzione.
Una tra le barbarie perpetrate dalla Rivoluzione è stata la condanna a morte di Maria Antonietta. Per chi non la conoscesse Maria Antonietta è stata una regina oltremodo sfortunata, soggetta ad ogni sorta di calunnie.
Quindicesima di sedici figli dell’imperatrice Maria Teresa d’Austria, un personaggio che ha segnato la storia del suo paese e del continente europeo per le riforme promosse, ancora ragazza (aveva solo 15 anni) è stata promessa in sposa al nipote ed erede del Re di Francia Luigi XV, nel quadro di un riavvicinamento politico tra Francia e Austria. (Era questo a quell’epoca il destino delle “fanciulle reali”: essere merce di scambio negli equilibri politici internazionali).
A causa di una malformazione fisica di Luigi che fu corretta chirurgicamente solo dopo qualche tempo, il matrimonio non fu consumato per numerosi anni. Tanto bastò per sollevare pettegolezzi di vario genere sulla Regina che veniva sospettata di attenzioni particolari per una sua dama di compagnia.
Finalmente dopo 11 anni di matrimonio e una primogenita femmina, Maria Antonietta ebbe il tanto desiderato erede al trono. Questi peraltro morì di tubercolosi prima dello scoppio della Rivoluzione (gli fu così evitata la triste sorte del fratello minore!)
Mai amata dal popolo francese, era presa di mira per le sue spese, considerate eccessive in un tempo nel quale la Francia pativa di una situazione finanziaria molto precaria, fu oggetto di vere e proprie calunnie da parte della stampa. Famosa è rimasta la frase ignominiosa, «date loro delle brioches», che le è stata attribuita in risposta alle donne francesi che gridavano: «Non abbiamo più pane».
In realtà Maria Antonietta, prima dello scoppio della Rivoluzione si impicciava poco della politica. Allo scoppiare della rivolta assunse una posizione decisamente contraria: incitò invano il marito a intervenire con la forza, si oppose alla sua accettazione della Costituzione e cercò aiuto dai sovrani stranieri.
Dopo la soppressione del Re fu rinchiusa nella Tour du Temple assieme ai due figli – Maria Teresa e Luigi Carlo (vedi gli articoli La contessa oscura giugno 2022 e Principi sfortunati: la dolorosa storia di Luigi XVII febbraio 2022) e quasi dimenticata.
Quando i giacobini presero il potere, espellendo i più moderati girondini dalla Convention Nazionale, la campagna contro di lei si acuì: la si accusò di essere la causa della morte delle migliaia di soldati caduti nella guerra contro le potenze straniere che assediavano la Francia. Prevalse la decisione di giudicarla come “Nemica del popolo”, e fu trasferita alla Conciergerie.
È ben noto che tutte le Rivoluzioni, che proclamano Libertà e Salvezza del popolo, vogliono che le Regole siano rispettate. Per condannare un individuo ci deve essere un regolare processo e una giuria giudicante.
Di conseguenza la ormai ex-regina fu condotta davanti al Tribunale del popolo per essere giudicata. Le accuse erano di avere istigato Luigi XVI al tradimento in occasione del fallito tentativo di fuga, di avere cospirato con i nemici della Francia e di avere sperperato fondi pubblici.
Fu nominata una giuria e le vennero assegnati due “avvocati difensori” ai quali venne concesso … un giorno di tempo per esaminare il caso.
Il processo durò ben… due giorni! I testimoni dell’accusa furono quarantuno. Tutti riferirono solo voci ascoltate e formularono accuse generiche senza addure alcuna prova concreta delle loro affermazioni. Nel corso del procedimento venne perfino prodotto un documento ottenuto con l’inganno dal figlio nel quale questi lo accusava di avere intrattenuto con lei rapporti incestuosi.
Dopo le arringhe difensive i due avvocati vennero arrestati. Il presidente del Tribunale disse alla giuria che «non era il momento di soffermarsi sulle prove materiali né di cedere al sentimento di umanità.» Questa si ritirò e deliberò in un’ora che Maria Antonietta dovesse essere ghigliottinata.
La sentenza fu eseguita. Dopo averla ghigliottinata il boia presentò la sua testa decapitata al popolo che, festante, acclamò «Viva la Repubblica!»
Sono passati oltre 230 anni e ancora c’è qualcuno che davanti all’immagine di Maria Antonietta decapitata che sorregge tra le mani la sua testa inneggia «Viva la Repubblica!»