Caratterizzato da una forte connessione con la natura e da un’estetica minimalista, l’arte giapponese può essere difficile da capire per un pubblico occidentale. Le diversità culturali, storiche, filosofiche ed estetiche non sempre facilitano la capacità di apprezzare e comprendere le sue tradizioni artistiche uniche al loro giusto valore.
Siamo abituati alla nostra arte che ha una chiara struttura narrativa e non siamo sempre in grado di apprezzare alcune immagini che giocano un ruolo significativo nell’estetica giapponese legate a dei concetti come il Wabi-sabi, lo yūgen (la grazia e la sottigliezza profonda) e il ma (l’uso dello spazio vuoto). Ho appena toccato un tema affascinante e profondo della cultura giapponese, il Wabi-Sabi, uno dei principi fondamentali della filosofia del buddismo zen, che celebra l’imperfezione, la transitorietà e l’incompletezza. Questa filosofia trova la bellezza nella naturalezza, nell’autenticità e nelle tracce del tempo.
Un esempio concreto di come il Wabi-Sabi si manifesti nella pratica e ne incarni perfettamente lo spirito è il Kintsugi, l’arte giapponese di riparare la ceramica rotta con lacca mescolata a polvere d’oro, d’argento o di platino per evidenziare i segni delle attaccature. La lacca utilizzata che svolge un ruolo cruciale come legante e adesivo è tradizionalmente un prodotto naturale molto resistente chiamata urushi, ideale per unire i frammenti, assicurando che l’oggetto riparato sia stabile e funzionale. “Kin” significa oro e “tsugi” significa riparare o connettere. Invece di nascondere le crepe e i difetti, il Kintsugi li mette in evidenza, trasformando l’oggetto danneggiato in una nuova opera d’arte, ancora più preziosa e significativa arricchendone la storia visiva. La successiva riparazione diventa parte integrante e visibile della storia dell’oggetto aggiustato che acquisisce una nuova bellezza, unica e irripetibile e celebra le sue imperfezioni e il suo passato invitandoci a vedere la rottura non come una fine o un fallimento ma come una trasformazione, una risurrezione. Questa pratica non solo restituisce all’oggetto la sua funzionalità, ma celebra anche la sua storia e le sue “cicatrici”, rendendolo simbolo di resilienza e bellezza derivata dalle avversità. Ci invita a stabilire una relazione con il mondo materiale basata sul rispetto e sull’apprezzamento, riconoscendone il valore che deriva dall’esperienza della transitorietà.
Ogni crepa riparata non solo racconta una storia di danneggiamento, ma anche di guarigione e resistenza diventando una metafora della vita umana.
Fa delle nostre esperienze, anche quelle difficili e dolorose, delle spaccature che non devono essere nascoste, ma piuttosto valorizzate e accettate come parte del nostro percorso.
Questo pensiero si distingue nettamente dal concetto tradizionale di restauro occidentale per vari aspetti filosofici ed estetici. Mentre in Occidente il restauro tende spesso a cercare di riportare un oggetto al suo stato originale, nascondendo i segni del danno per restituirlo a una condizione perfetta e indistinguibile cercando di rimuovere difetti e imperfezioni, il Kintsugi, tende ad esaltare l’imperfezione e la storia dell’oggetto.
Oltre ad essere una pratica artistica estremamente interessante, ha un profondo significato spirituale e questo lo rende veramente unico.
Articolo intetessantissimo,soprattutto ora che sto partendo per il Giappone. Mi aiuterà’ di certo a capire meglio la loro filosofia zen.Grazie a presto
Grazie per il commento, felice che il mio articolo sia stato utile per capire un pochino dello spirito di quel paese così ricco di tradizioni. Buon viaggio!