Articolo di Mario Belloni – Autore Ospite de La Lampadina
Vi ricordate quanto noi di altra generazione abbiamo giocato agli Indiani e Toro seduto il nostro avversario o nostro idolo?
Ma sentite questa strana cosa.. Toro Seduto morì assassinato in tarda età, il suo corpo fu riesumato a fine Ottocento e con le cose che ornavano il suo corpo e fra lo stupore generale, fu trovata sul suo petto una medaglia con la scritta “Pro Petri Sedi”; fatte le dovute ricerche, fu stabilito che si trattava della medaglia di Castelfidardo, soprannominata anche “Ciambellone di Castelfidardo”.
Questa era una medaglia concessa dallo Stato Pontificio a tutte le truppe che parteciparono allo scontro di Castelfidardo contro l’esercito del Regno di Sardegna. La medaglia fu istituita con breve pontificio del 12 novembre 1860 di papa Pio IX il quale, su consiglio del maestro d’armi, Francesco Saverio de Mérode, fece coniare questa medaglia per premiare i soldati che si fossero battuti in suo nome contro l’esercito piemontese durante l’invasione dello Stato pontificio del 1860.
Ma come era finita sul petto di Toro Seduto?
Nel brevissimo conflitto per l’unità d’Italia, che dall’11 al 29 settembre 1860 interessò Marche e Umbria contro il potente esercito del Regno di Sardegna, e a difesa del senigalliese Pio IX, combatterono – accanto ai volontari italiani e ai soldati austriaci – non solo seminaristi e cadetti di famiglie nobili francesi, belghe e svizzere, ma anche giovani dell’Irlanda. Italiani, francesi e belgi erano inquadrati quasi tutti nel corpo dei fucilieri poi diventati zuavi, gli irlandesi nel Battaglione di San Patrizio, così chiamato in onore del patrono dell’isola verde. I ragazzi venuti dal nord scelsero di abbandonare la propria vita normale per una serie di motivi. Intanto perché l’Irlanda da sempre era un paese cattolico. Poi perché l’anglicana e massonica Gran Bretagna, di cui l’Irlanda faceva parte, si schierò apertamente a fianco di Cavour e di Garibaldi.
Gli inglesi aiutarono economicamente e militarmente la spedizione garibaldina. Anzi, una volta avviato l’arruolamento dei sudditi irlandesi, le autorità britanniche promulgarono — proprio su pressione di Cavour — il Foreign Enlistment Act che proibiva ai cittadini britannici di arruolarsi in eserciti stranieri. Ma gli irlandesi si schierarono con Pio IX anche per riconoscenza.
Il Papa un decennio prima era stato uno dei pochissimi capi di stato a intervenire in aiuto della martoriata isola smeraldo colpita da una tragica crisi alimentare e dalla carestia. Un quinto degli abitanti, un milione e mezzo di persone, o muore o è costretta a emigrare. Il 25 marzo 1847 Pio IX emanò l’enciclica “Praedecessores Nostros” con la quale affrontò il problema della carestia e della peste. Papa Giovanni Mastai Ferretti avviò una raccolta di fondi per le popolazioni colpite dalla calamità e avviò preghiere in tutte le chiese concedendo l’indulgenza plenaria. L’intervento del Santo Padre in quei difficili anni non verrà mai dimenticato. Quando Pio IX chiese aiuto al mondo per difendere i territori della Chiesa “dai novelli musulmani”, gli irlandesi non si fecero certo pregare. In Irlanda il reclutamento avvenne grazie all’opera dell’arcivescovo di Dublino, Paul Cullen già Rettore dell’Irish College e al College Propaganda Fide di Roma. Cullen teneva i contatti con il suo successore a Roma, il cardinale Alessandro Barnabò.
Tra febbraio e giugno del 1860 poliziotti, contadini, avvocati, medici, operai e reduci della Guerra di Crimea corsero ad arruolarsi. I divieti imposti dalle autorità britanniche costrinsero circa 1.800 volontari a viaggiare verso l’Italia ricorrendo ad astute scappatoie. In gruppi di venti/quaranta accompagnati da sacerdoti si fingevano pellegrini, altri emigranti. Altri ancora dichiaravano di volersi arruolare come gendarmi del Papa. Fatto sta che essi raggiunsero l’Italia, dopo grandi pene.
A tutti i reduci Pio IX concesse la medaglia “Pro Petri Sede” dichiarandoli “degni di lode della Chiesa Cattolica, della Santa Sede e dell’umanità tutta!”. Conclusa la prigionia, molti di quei valorosi che avevano combattuto nelle Marche e Umbria proseguirono la loro carriera militare nell’esercito dell’Unione durante la guerra civile americana. Così ad esempio John J. Coppinger che aveva preso parte agli scontri di Spoleto finì per diventare generale; Joseph O’Keeffe che aveva combattuto ad Ancona finì per diventare tenente colonnello di cavalleria.
Il più noto è il sottotenente Myles Walter Keogh: in forza alla IV Compagnia, dopo la resa di Ancona, fu fatto prgioniero. Liberato si recò a Roma dove entrò nelle Guardie pontificie. Dopo qualche tempo emigrò negli USA raccogliendo l’invito del Segretario di Stato Wiliam H. Seward che cercava ufficiali europei esperti che volessero servire l’Unione nordista. Dopo la battaglia di Gettysburg dove si comportò eroicamente fu promosso di grado e diventò capitano della Compagnia “I” del glorioso 7° Cavalleria e vice del comandate Custer. Keogh morì con il suo comandante e 420 uomini nel massacro di Little Big Horn ad opera dei Sioux e Cheyenne di Toro Seduto il 25 giugno 1876.
Si narra che gli indiani abbiano dichiarato che il capitano Keogh sia stato uno dei più valorosi combattenti durante quel massacro. Un guerriero Cheyenne, Gambe di Legno, riferì che Keogh fu l’ultimo a morire assieme a Custer. Ai due ufficiali venne così risparmiata l’umiliazione delle mutilazioni. Ma non è tutto, la medaglia “Pro Petri Sede”: era la medaglia di Myles Keogh che il capo indiano aveva fatto prelevare dalla sua divisa e che aveva tenuto gelosamente per se. ritenendola un amuleto magico. Le fonti riportano che quando Toro Seduto fu ucciso indossava la medaglia.
Penso che il povero soldato Keogh avrebbe avuto più fortuna se fosse crepato in quel di Castelfidardo. Franco da Osimo.
L’autore dell’articolo, Mario Belloni, commenta:
“Io mi sono fidato delle fonti italiane. Le fonti USA infatti dicono che Keogh era “the senior captain among the five companies wiped out with Custer that day, and commanding one of two squadrons within the Custer detachment, Keogh died in a “last stand” of his own, surrounded by the men of Company I. When the sun-blackened and dismembered dead were buried three days later,” Diciamo era il braccio destro di Custer nella battaglia del Little Big Horn. Mario Belloni”
Keogh non fu vice di Custer, in quanto capitano.il secondo in comando del 7° Cavalry fu il magg. Reno;si sa che Custer non amava gli ufficiali stranieri del suo Reparto e ben si conosce l’odio che provava per il Lt De Rudio, italiano di Belluno.Tuttavia prese in simpatia Keogh perché gli suggerì l’inno di battaglia del reggimento, Garry Owen, nota marcia militare Irlandese.