Con l’arrivo a Milano nella Sala Alessi di palazzo Marino della grande tela che Pieter Paul Rubens (Siegen, Vestfalia, 1577 – Anversa 1640) dipinse a Fermo per la chiesa di San Filippo Neri, “L’adorazione dei pastori“, si ritorna a parlare in Italia del grande genio del barocco fiammingo. Nel comune parlare di Rubens, grande maestro del seicento nordico, si evoca abitualmente la bellezza sensuale e florida delle sue figure femminili. Incarnano la sovrabbondanza propria al suo tempo che, con l’opulenza, voleva celebrare la grandezza della chiesa cattolica e i fasti delle grandi monarchie del diciassettesimo secolo europeo con il lusso nei decori delle grandi cerimonie e l’allegorie della bellezza. Ma il genio di Rubens va ben al di là di questa immagine. Era un personaggio sicuramente baciato dalla fortuna. Bell’uomo, dimostra prestissimo il suo grandissimo talento. Talento comunque, per l’epoca, estremamente audace, che prende in contropiede le influenze contemporanee. Ha non solo una prodigiosa capacità lavorativa, una sorprendente facilità nell’esecuzione, una grande intelligenza, ma sa attirare a sé gloria, ricchezza e molte simpatie dei grandi della terra.
E’ generoso, poliglotta, ha maniere eleganti e divide il suo tempo tra numerosissime committenze importanti e delicati incarichi di ambasciate per la Spagna e l’Inghilterra. Finisce la sua vita in una grande casa in stile italiano nella sua amata Anversa dove, vedovo, si risposa con una giovane ragazza di sedici anni e continua malgrado le lusinghe della ricchezza e della fama a dipingere serenamente.
Rubens è già nel 1598, a 21 anni, maestro della corporazione degli artisti di Anversa, la Gilde di San Luca. Nel 1600 decide di recarsi in Italia e viene richiesto alla corte di Mantova dal Duca Vincenzo Gonzaga che oltre a farlo lavorare liberamente, lo manda in ambasciata alla corte spagnola di Filippo IV dove incontra Velasquez che riesce a liberare dalla reclusione a corte e a farlo mandare a Roma.
Rubens non conosce le insidie della meschinità e dell’invidia che è spesso la caratteristica degli artisti dell’epoca. Quando a Roma, la sua città favorita, entra in contatto con l’opera di Caravaggio ne rimane totalmente sedotto e convince il Duca di Mantova a comprare la grande tela “La morte della vergine” rifiutata da Santa Maria della Scala perché l’immagine della Madonna ritratta era quella di una nota prostituta. Dal suo grande viaggiare in Italia da Genova dove ritrae le ricche mogli dei mercanti genovesi, per passare un bel periodo a Roma dove conosce la pittura di Raffaello e Michelangelo, a Firenze che gli procura un ricchissimo contratto, senz’altro la sua pittura si amplia di nuovi aspetti e fonde nel suo originalissimo stile fiammingo le sue indimenticabili esperienze italiane: Raffaello, Michelangelo, Leonardo da Vinci, Veronese, Tintoretto, Tiziano, Barocci, Correggio, ma sopratutto Caravaggio considerato il pittore più geniale del suo tempo con i suoi forti contrasti di luce.
Il suo stile sicuramente caratteristico del barocco nordico si arricchisce dell’eredità delle scuole veneziane con una fattura estremamente libera e un colore ricco e luminoso insieme alle forme monumentali ispirate dalle opere di Michelangelo, facendoli esprimere un arte dove è esaltato l’essere umano, la vita e il movimento. L’artista tocca tutti i soggetti e tutti generi: dalla pittura religiosa a quella mitologica, dai ritratti, alle scene di genere ma anche i paesaggi e le scene di caccia. Sarà autore di grandi cicli pittorici, di cartoni per serie di arazzi e realizza anche scenari architettonici per il decoro delle città.
Il pittore è sopraffatto di lavoro, molto richiesto anche nel suo paese dove ritorna nel 1609 alla corte dell’Arciduca Alberto governatore delle Fiandre e marito dell’Infanta Isabella, figlia di Filippo II. Dispone di un grande studio per rispondere alle numerose richieste dove gli allievi iniziano le tele per lui e dove il Maestro interviene sempre con il colpo di pennello finale.
I suoi contemporanei fiamminghi lo considerano il solo pittore del paese e piuttosto che rivaleggiare con il suo genio preferiscono lavorare sotto la sua guida: Van Dyck e Jordaens dipingono le figure, Snyders, Paul de Vos, gli animali, Breughel de Velours, Jean Wildens, Martin Ryckaert, i paesaggi. Quando poi gli allievi hanno finito di eseguire il loro incarico nella grande composizione, il maestro da i tocchi di luce e di colore più arditi, le trasparenze e le ombre più intense e più profonde. Nella sua totale onestà, nel momento del pagamento, il prezzo varia secondo l’importanza del suo lavoro personale. Nella sua casa, nella collezione personale, appaiono opere di Tiziano, Tintoretto, Veronese, Leonardo, Raffaello, Ribera, Holbein, Antonio Moro, Van Eyck, Breugel il vecchio ecc… Riceve visitatori nel suo studio, e mentre dipinge, parla con loro, detta una lettera e si interessa di tutto: viaggi, storia naturale, arte antica e archeologia…
Un personaggio unico e fuori dalle righe ma anche estremamente attraente che l’Italia celebrerà a ottobre dell’anno prossimo con una grande mostra a Milano a Palazzo Reale.
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