Non bisogna guardare solo al giorno d’oggi per trovare episodi di mala giustizia, basta leggere i “Racconti, leggende e ricordi della vita italiana” di Massimo d’Azeglio per scovare vicende curiose. D’Azeglio ci racconta nelle pagine del suo libro di uno scandalo dove i Barberini, con una certa prepotenza, si scontrarono con lo scultore Vincenzo Pacetti che aveva acquistato un grande frammento marmoreo in una vendita nel Palazzo di loro proprietà in via Quattro Fontane. Si legge che “al tempo della Repubblica romana, i signori e possidenti della città vennero colpiti d’una contribuzione che … anco i più ricchi penavano a pagare” e di come la famiglia Barberini decise di mettere in vendita “anticaglie varie per racimolare un po’ di denari“.
Vediamo nell’elenco dei beni messi in vendita comparire il torso di una figura maschile che verrà chiamato dalla storia “il fauno Barberini”.
Intorno all’inizio del Seicento, nel sottosuolo di Roma, a causa del grande fervore edilizio, si ritrovavano numerose sculture antiche, prevalentemente copie romane di originali greci del periodo ellenistico e le famiglie nobili romane se ne impossessavano per arricchire le collezioni dei loro palazzi. Nel 1624 viene fuori durante i lavori di fortificazione dei fossati di Castel S.Angelo fatti eseguire dal papa Urbano VIII, il torso di una figura marmorea. Era privo delle gambe, amputate all’altezza delle cosce, e delle braccia. Parte della gamba sinistra, staccata e priva del piede viene ritrovata non lontano. Quando i pezzi del fauno riemergono dai fossati, il papa Urbano VIII li affida al nipote Cardinale Barberini che li fa ricomporre e restaurare. Ed è così che nel 1798 un certo Vincenzo Pacetti compra all’asta di Palazzo Barberini per la cifra di ottocento scudi “il torso d’una figura maschile, opera greca in marmo pentelico, de’ tempi migliori” e lo trasforma secondo il suo gusto e la sua arte.
Pacetti è il perfetto testimone della vivacità culturale che caratterizza gli ultimi decenni del Settecento nella capitale pontificia. Scultore, restauratore e vivace mercante di antichità (seguendo la consuetudine di allora), è attivo come pochi della sua epoca e la quantità delle commissioni che ottiene allora, sono numerosi anche rispetto al fiorente mercato dell’epoca. Il personaggio è noto, stimato e nel suo studio di via Sistina esegue un totale e brillante restauro dell’opera come si usava fare in quel periodo, tanto che viene lodato dal Canova “come ristauro, ove l’antico ed il nuovo erano in perfetta armonia, e di merito, se non pari, almeno non discordante“.
Alla statua viene data la postura semisdraiata, creando l’immagine che ci è pervenuta ora, cioè una sfacciata figura maschile carica di energia e tensione erotica. La famiglia Barberini, di fronte alla grande qualità del restauro che restituisce all’opera tutta la sua attrattiva, manda i suoi agenti per recuperare la statua “come cosa soggetta a fidecommisso” offrendo al mal capitato “gli ottocento scudi dell’acquisto più quel prezzo del suo ristauro che sarebbe fissato per mezzo d’arbitri esperti”.
Immaginate lo sconforto del Pacetti, abile mercante, che già pregustava un generoso guadagno dalla vendita del pezzo da lui acquistato, restaurato con grande arte e che aveva intenzione di rimettere sul mercato.
Dopo ripetute minacce dei Barberini e resistenze dello scultore, passato un po’ di tempo, “una mattina arrivano per via Sistina quaranta facchini e carabinieri cum fustibus et lanternis; si fermano alla porta dello studio Pacetti, che, trovato chiuso, sconficcano; ed entrati, sollevano la statua, la mettono su un carro e se ne vanno con Dio“.
Come si può ben pensare non servirà a molto la lunghissima causa che vede la famiglia Pacetti (i figli di Vincenzo riprendono la causa iniziata dal padre) scontrarsi con casa Barberini. Infatti dopo parecchie sentenze e un qualche compenso, l’avventura si conclude a favore dei Barberini. Malgrado il fedecommesso invocato per convincere la Rota del giusto recupero, dopo poco, il Fauno viene ceduto nel 1815 da un erede della famiglia Barberini al principe di Baviera, nonostante il parere contrario del Canova, allora soprintendente alle antichità di Roma che, avendone riconosciuto lo straordinario valore artistico, cerca in tutti modi di impedirne la cessione. Ma il suo veto viene superato grazie a un intervento personale delll’Imperatrice d’Austria. Ubi maior.
Il Fauno Barberini si trova tutt’oggi nella Gipsoteca di Monaco di Baviera.
*I testi in corsivo sono tratti dal testo di Massimo d’Azeglio
Interessantissimo.
Grazie per il gentile commento. Mi fa piacere riuscire a proporre articoli con informazioni particolari. E proprio lo scopo della nostra newsletter, darvi qualche “illuminazione”! Sono felice di esserci riuscita.
Questo articolo è molto interessante e nello stesso tempo divertente.
Brava Marguerite, come sempre!
Grazie Sabina! Era un divertente episodio da raccontare. Non potevo resistere!