Qualche articolo sui giornali, che poi, come spesso accade, scivola via tra le mille notizie. Ho rivisto la situazione del Lago Aral, leggendo le pagine del libro “l’Appalto” di Sergio Grea che ci racconta l’evolversi della situazione in quella zona, dagli anni ‘50 fino ai giorni nostri. Un racconto romanzato ma non troppo lontano dal vero.
Il lago Aral è tra l’Uzbekistan e il Kazakistan. Aveva una superficie che nel 1960 era di 68.000 km quadrati, oggi di soli 7.000 km. Quello che resta è una grande pianura coperta di sale e prodotti chimici tossici.
Tutto ha origine del programma di cultura intensiva voluto dal regime sovietico il cui fine era di far diventare la Russia uno dei maggiori produttori mondiale di cotone. Per realizzare il programma era necessaria una quantità di acqua incredibile, cosa semplice, si pensava, considerata la vastità del lago.
Dagli anni ‘40 fino a fine anni ‘80, Si costruirono i canali per attingere acqua dai due immissari, il Syr Darya e l’Amu Darya, ne sono stati costruiti ben 47.750, i più realizzati il modo sbrigativo e con scarse conoscenze tecniche tanto che dell’acqua che li attraversava, se ne perdeva durante il tragitto più del 50%.
La riduzione della portata degli immissari + la forte evaporazione hanno portato alla situazione attuale. I sovietici, avevano previsto il ridimensionamento della superficie del lago ma credevano che la zona si sarebbe trasformata in una grande palude acquitrinosa adatta per la coltivazione del riso.
I consorzi agricoli predisposti all’epoca per le coltivazioni, hanno fatto il resto, riversando sulla terra una quantità incredibile di diserbanti e fertilizzanti che defluendo nel lago dal terreno circostante, hanno creato sul fondo, una crosta di elementi altamente tossici e fortemente inquinanti ora in superficie.
L’impatto ambientale è stato devastante. Le numerose tempeste di vento trasportano e spargono la sabbia, salata e tossica fino a grandi distanze rendendo inospitale gran parte dell’area. Le malattie respiratorie hanno un’incidenza altissima sulla popolazione. Anche il clima è cambiato, gli inverni sono freddi e lunghi, le estati calde e secche.
Delle 180 specie animali che popolavano l’area ne restano meno di quaranta ed oltre l’80% delle specie ittiche sono definitivamente perse.
Il lago era alla base di una comunità di quasi 200 mila persone, la pesca copriva il 10% della produzione di caviale dell’ex Unione Sovietica. Oggi dei vecchi porti restano solo zone aride e imbarcazioni nella polvere. Le industrie della filiera ittica e i cantieri navali sono fallite e comunque chiuse definitivamente nel 1982.
Un’altra terribile preoccupazione gravava sulla intera zona. Sull’isola di Vozrozdenie, al centro del lago, esisteva un’installazione di una base militare Russo-Sovietica dove venivano messe a punto e sperimentate armi chimiche biologiche. Molti dei contenitori che conservavano le spore ed i bacilli, non furono mai trattati o distrutti correttamente, si temeva quindi che con il ricongiungimento dell’isola con la terra ferma, gli animali presenti nei dintorni potessero essere un veicolo di epidemie gravissime. Per fortuna a seguito di un trattato con gli USA, una spedizione nella primavera-estate del 2002, ha neutralizzato tra le 100 e le 200 tonnellate di antrace limitando per quanto possibile gli eventuali pericoli. L’area è comunque tenuta, ancora e costantemente, sotto controllo.
Pochi i tentativi di recupero del lago. Qualche accordo delle Nazioni interessati al passaggio dei due fiumi, ma nessun altra azione concreta per il recupero definitivo.
I motivi principali due, la coltivazione del cotone che impiega ormai una quantità di lavoratori quattro volte maggiore di quella che una volta era impiegata nella pesca, e la seconda che i terreni oramai scoperti, sono ricchissimi di giacimenti di gas naturale.
Un eventuale ritorno dell’acqua al livello originario sulla riva uzbeka renderebbe complicato questo genere di attività.
La banca Mondiale partecipa attivamente a qualche forma di recupero, ha finanziato la costruzione di una diga tale da poter conservare, della parte kazaka, uno dei due piccoli laghi che si sono formati dopo il prosciugamento e recuperare l’acqua da almeno uno degli immissari. A qualcosa il loro intervento è servito, ora gli abitanti di Karateren, villaggio nel sud ovest del Kazakhstan possono di nuovo pescare orate, carpe e lucioperca, ma il risanamento, dell’intero lago e della zona, sembra veramente lontano.
Una tragedia che, si sarebbe potuta evitare, se l’essere umano non fosse una malattia mortale per il pianeta. Vergogna.
Dai cieli ha dei colori meravigliosi:::