Ci si commuove davanti a “La belle italienne” ritratta da Hayez, donna molto interessante “dall’incarnato pallido, i capelli corvini, il lungo collo sinuoso, le mani affusolate, una delle quali posata sul petto. Come una dama del rinascimento, nel gesto di frenare il desiderio carnale. Ma lo sguardo dei grandi occhi neri è tutto ottocentesco: conturbante e malinconico, profondo, fisso, magnetico”.
Cristina Trivulzio di Belgioioso, appunto la donna dell’elegante dipinto, che nasce nel 1808 dai marchesi Vittoria Gherardini e Girolamo Trivulzio, è una bambina gracile e timida, un po’ malaticcia e delicata che soffre già da giovanissima di una leggera forma di epilessia. Ma non conviene farsi ingannare da questa infelice descrizione. Cristina rimane orfana di padre a quattro anni e la madre risposandosi con Alessandro Visconti d’Aragona la fa crescere secondo il credo del patrigno, nel fervore politico dei moti del 1821 che mirano ad ottenere, per l’Italia, una Costituzione e l’indipendenza dallo straniero. Il principe la vuole educare come un uomo, la rende colta e sopratutto fa di lei una donna intrepida che entra presto nel mondo della cospirazione carbonara e ne fa una delle protagoniste delle principali vicende storiche del risorgimento.
A 16 anni, dopo aver rifiutato il matrimonio con un noioso cugino, figlio del suo tutore, si sposa con il libertino principe Emilio di Belgioioso interessato sopratutto al notevole patrimonio di Cristina che gli porta in dote 400.000 lire austriache, che sembra corrispondano oggi più o meno a 4 milioni di euro. Il Principe, sifilitico, dissoluto ed infedele dilapida allegramente il suo patrimonio. Il loro matrimonio sarà breve.
Dopo poco lei tratta con Emilio la loro separazione e la sua libertà in cambio dell’estinzione dei debiti del fedifrago marito.
Nel dicembre del 1828 inizia la sua avventura politica e il suo impegno civile, quando in tutta la penisola si respira aria di indipendenza.
Cristina comincia a frequentare i patrioti e la sua attività rivoluzionaria non passa inosservata alla polizia austriaca. E’ costretta a scappare prima in Svizzera, poi in Francia. Addirittura nel 1831 viene emanato un decreto che prevede «la confisca di tutte le sue proprietà, al momento dichiarate sotto rigoroso sequestro».
Cristina, una delle donne più ricche d’Italia, si ritrova a Parigi sola e senza la possibilità di attingere al suo immenso patrimonio. Non si perde d’animo. Si guadagna da vivere dipingendo ventagli e confezionando coccarde. Appena recuperati i suoi beni affitta un appartamento nel centro di Parigi, apre un salotto dove s’incontrano gli esuli italiani Mamiani, Porro, Poerio, Pepe, Amari, Pepoli, Gioberti e Sirtori e molti dei rappresentanti dell’intellighenzia parigina, Stendhal, Balzac, Hugo, Dumas, Didier, Guizot, Toqueville, Coeur, Fauriel, Meyerbeer, de Sinner, Cousin e tanti altri.
Stringe amicizia con Heinrich Heine, Liszt, de Musset, corrisponde con il Générale La Fayette.
Si concede alcune relazioni sentimentali. E’ bella, alta, di carnagione chiarissima, con i capelli corvini. Molti la corteggiano: è molto ammirata, sicuramente affascinante. Mentre sta a Parigi concepisce la figlia Maria senza mai rivelare il nome del padre creando notevole scandalo. Scrive articoli per vari quotidiani, (è convinta dell’importanza e della potenza della stampa), paga di tasca sua giornali patriottici, aiuta numerosi fuorusciti italiani, finanzia addirittura un tentativo di colpo di stato mazziniano in Sardegna.
Quando rientra in Italia nel 1840, si stabilisce a Locate nel feudo di famiglia, dove, forte del suo credo sociale, fa costruire un asilo, scuole elementari e superiori, abitazioni dignitose per i contadini, una cucina comune, promuove corsi di igiene per le donne, garantisce l’assistenza sanitaria gratuita. Manzoni, scandalizzato esprime il suo totale disappunto per questa iniziativa: “Ma se ora i figli dei contadini vanno a scuola chi coltiverà i nostri campi?”
Riprende il suo peregrinare e, malgrado le sue precarie condizioni di salute non si risparmia ed è difficile seguirla nelle sue moltipliche avventure sempre pronta a perorare la causa italiana. La si vede nel 1848 salpare da Napoli verso Genova con 200 giovani volontari per raggiungere Milano liberata (il battaglione Belgioioso). La si vede a Roma durante l’assedio francese contro la Repubblica Romana, dove “inventa” il servizio infermieristico negli ospedali capitolini per i militari feriti.
Costretta di nuovo all’esilio, parte con la figlia di dieci anni per Malta, poi giunge ad Atene, sbarca a Costantinopoli e finisce in Turchia, dove compra una proprietà in Cappadocia. Ancora molto energica e coraggiosa fonda una colonia agricola con criteri di avanguardia, che si rivela purtroppo fallimentare.
Assiste la popolazione locale e parte per un lungo viaggio attraverso l’Anatolia, la Siria, il Libano e la Palestina dove tiene un appassionante diario in cui vengono smontati con estremo realismo i miti romantici dell’Oriente esotico, fastoso ed opulento e nel quale mette a nudo le miserie della società che incontra.
Torna finalmente a Locate nel 1856 e si spegne il 5 luglio 1871, ma fino all’ultimo scrive e combatte per migliorare le condizione della società del suo tempo e specificamente della donna e proclamare il suo credo patriota.
Sarà ricordata come “una personalità d’eccezione in cui la passione patriottica si salda con un forte impegno civile e una spiccata vocazione intellettuale.
Fu una donna originale in un’epoca in cui soltanto le eroine della finzione letteraria avevano diritto d’esserlo”.
Grazie! Che bel articolo su una donna stupenda, bella, intrepida!
Vero? Cristina di Belgioioso era una donna eccezionale, unica, sopratutto tenendo conto del contesto in cui cresce!
Grazie per il suo apprezzamento.
Bellissimo articolo, certamente una figura affascinante che già conoscevo avendo letto una sua biografia: “La principessa del nord” di Arrigo Petacco.
Grazie mille. Non ho resistito a riassumere in questa pagina la straordinaria figura che era la Belgioioso. Sono molto tentata di leggere il libro di Arrigo Petacco!