di Marcella Leoni de Andreis tratto dal libro:
“Capri 1939. L’isola in bianco e nero”
Edizioni La Conchiglia
Tornò il principe Umberto, fresco sposo della giovane Maria José, figlia del re del Belgio. Pare che, in gran segreto, avesse trascorso parte della luna di miele su uno yacht davanti ai Faraglioni.
Dopo un periodo vissuto a Torino, la coppia si era trasferita a Napoli, dove dal novembre 1931 il principe era al comando della XXV brigata di fanteria. E Capri, già mèta prediletta di Umberto, ci mise poco a diventarla anche per la nordica moglie, il cui nome fu immediatamente italianizzato dai giornali in un più rassicurante Maria.
Sul reale motoscafo azzurro, i giovani eredi al trono d’Italia facevano continuamente la spola tra l’Isola e Napoli, a tutte le ore e in tutte le stagioni. Talvolta preferivano l’idrovolante, che partiva da Nisida. Alloggiavano al Quisisana, nella suite imperiale: Umberto sempre circondato dai suoi attendenti, Maria José seguita dalla dama di compagnia. La coppia appariva discretamente affettuosa e piuttosto unita. A volte lui se ne tornava a Napoli e lei si fermava sull’Isola da sola. I capresi impararono a conoscerla bene, quella ragazza alta e sottile, dai crespi capelli biondi e dai glaciali occhi azzurri, quella donna fortunata per la quale si prevedeva un futuro tutto rose e fiori. Maria di Piemonte imparò subito ad amare Marina Piccola, lo stabilimento delle Sirene, e la cucina di Gelsomina Mellino.
Molto sportiva, passava le mattinate facendo nuoto, canottaggio e visite in motoscafo alle numerose grotte dell’Isola, l’Azzurra, la Verde, la Bianca, la Meravigliosa. Portava sempre occhiali da sole neri e rotondi e fumava una sigaretta dopo l’altra. I carabinieri vigilavano sulla sua incolumità e tranquillità, e tenevano a bada i ragazzini capresi, che la seguivano ovunque nella speranza di una mancia. La principessa ci teneva a parlare sempre italiano, anche se con un forte accento francese.
Da provetta alpinista qual era, scalò senza problemi Io scoglio del Monacone, famoso quanto i Faraglioni, dove sarebbe stato sepolto Masgaba, l’architetto di Augusto. Non passava un pomeriggio senza la sua rituale partita a tennis con i Dusmet al Capri Sports Club, e faceva lunghe passeggiate ad Anacapri; al ritorno, andava a prendere il tè a casa della duchessa di Camastra, a Villa Discopoli, da Alice Ravà alla Roccia oppure a Villa Paradiso dalla moglie del podestà?”. Maria José non perdeva una mostra, una discussione letteraria, uno spettacolo teatrale.
La musica era la sua passione. Il grande tenore Tito Schipa, considerato il successore di Caruso, si sentì onorato di interrompere un breve riposo caprese per offrire un concerto in suo onore. Fu una serata indimenticabile: non appena il cantante accennò le prime note dell’aria Una furtiva lacrima, si temette che il teatro del Quisisana, assediato da una folla strabocchevole, crollasse per gli applausi.
Il Comune di Ravello commemorò con grandi cerimonie il cinquantenario del soggiorno di Richard Wagner, che nel Palazzo Rufolo aveva completato il Parsifal, Maria José aderì con entusiasmo alla trasferta ideata da Dusmet: la colonia cosmopolita di Capri fu caricata su un piroscafo che la trasportò ad Amalfi. Da lì numerose macchine trasferirono a Ravello gli illustri ospiti, guidati dai principi di Piemonte, da Maria di Savoia, dai principi Prascovia e Cirillo Romanov. Il ritorno a casa, con il plenilunio, fu un evento indimenticabile. Un giornalista belga riuscì a intervistare la principessa, e lei raccontò che a Capri dormiva pochissimo: non andava mai a letto prima delle tre di notte. Disse anche che i bambini le piacevano e che sperava di averne molti. E qui aveva toccato il tasto dolente, quello dei figli che non arrivavano. Tutta la nazione si chiedeva come mai la coppia regale non si decidesse a dare un erede al trono: a corte c’era grande preoccupazione e si attribuiva la colpa del mancato arrivo della cicogna al fatto che la principessa esagerava con gli sport e fumava troppo. I giornali definivano Maria José graziosa; gli amici capresi la trovavano intelligente e sensibile ma molto timida. Fu fotografata sulle rocce capresi chiusa in un severo costume da bagno nero, sui campi da tennis vestita di bianco e con una bandana rossa a raccogliere la chioma ribelle, per le viuzze capresi nel costume folkloristico delle donne del luogo. Bella, eppure, accanto al marito sempre oscurata dallo charme di lui, nei balli al Quisisana o al Parco Augusto, alle cene nelle ville private, nei tornei di tennis, nelle regate veliche, quando il principe, vice commodoro del Royal Yacht Club Italia, faceva girare la testa di tutte le dame, bellissimo nella sua Eaton jacker.
Talvolta Umberto invitava qualche amico a bordo del suo motoscafo, su cui potevano essere imbarcate 10 persone, per il giro dell’Isola, un bagno a Li Galli o uno spuntino a Sorrento. L’onore toccò più volte anche a Marino Dusmet, che con l’erede al trono aveva un rapporto di devozione e grande rispetto, una frequentazione che sarebbe stato esagerato definire amicizia. Il principe, come tutti i Savoia, era un tipo che stava sempre sulle sue e non esternava emozioni. Formale e gentile, in realtà era diviso dal mondo da un’impenetrabile e invisibile lastra di vetro. Andava spesso a pranzo, a cena o per un tè a casa del podestà, ma lo faceva con grande discrezione, perché non voleva suscitare gelosie. Anche Mafalda usava la stessa tattica. Durante le gite con Umberto, a cui don Marino partecipò con la moglie Polly e a volte anche con i piccoli figli, c’era sempre un momento libero dall’etichetta, una “ricreazione” durante la quale Sua Altezza era, a modo suo, alla mano. Bastava però che facesse un gesto, che si mettesse la giacca o che si rivolgesse a qualcuno chiamandolo con un certo titolo, perché ognuno capisse che il gioco era finito. La forma veniva allora rapidamente ripristinata.
Spesso, la sera, la regale coppia teneva circolo nei giardini del Quisisana, circondata dai più bei rappresentanti della nobiltà italiana, aristocratici come Marcantonio Colonna e Clemente Aldobrandini, Girolamo Rospigliosi e i duchi di Policastrello, i marchesi Verusio e Bugnano, i conti Pallavicino, i principi Caracciolo, i Serra di Gerace, gli Spada Potenziani. Non mancava il marchese Gerardo del Balzo, un mattacchione che si era proclamato capo del “Glu Glux Glan”, un gruppo di viveurs con la passione della bottiglia.
Si faceva vedere frequentemente il barone Fassini, come al solito in compagnia di qualche gerarca fascista, tipo Dino Alfieri, l’elegante sottosegretario alle Comunicazioni. Intrufolato tra gli ospiti più illustri, lo scrittore Leonino da Zara osservava e ascoltava tutto con grande attenzione: come si è visto era un «informatore segreto» dell’Ovra e non mancava di spifferare i fatti di cui veniva a conoscenza.
Una fresca ventata con bagliori soffusi di luci lontane.