C’è un certo mistero intorno a uno dei quadri più famosi dei primi del 500’ fiorentino, proveniente dall’eredità di Olimpia Aldobrandini, moglie di Paolo Borghese, nel corso del 600’ e custodito da allora nella collezione della Galleria Borghese.
Raffaello Sanzio, considerato uno tra i maggiori architetti e pittori del Rinascimento italiano, dipinge “la Dama con Liocorno” secondo la tipologia del ritratto nuziale, verso la fine del 1508. Il dipinto rappresenta una giovane nobildonna, bionda, con gli occhi azzurri, che tiene in braccio un piccolo liocorno. Raffaello dipinge la dama fino alla vita, dipinge le colonne, il cielo e il paesaggio retrostante, ma non porta a termine l’opera. Il quadro, così come lo vediamo oggi, è stato varie volte rimaneggiato. Prima del liocorno è stato dipinto un cane, simbolo di fedeltà, poi modificato non si sa con sicurezza da chi.
In seguito, la nobildonna ritratta, viene trasformata in una santa Caterina d’Alessandria da un anonimo pittore per rispondere alla nuova morale religiosa che si diffondeva in Europa con la Controriforma.
Il dipinto sarà recuperato solo nel 1935, poi nel 1960, nella sua forma originale dopo successivi restauri e così il piccolo unicorno che la giovane fanciulla cinge fra le braccia appare di nuovo con tutto il suo mistero. Perché un unicorno? Perché la scelta finale di dipingere, sopra le altre ri-dipinture, il mitico animale? Si presenta un’ipotesi interessante.
La raffigurazione dell’unicorno nell’antichità viene per tradizione collegata al culto della dea-madre vergine, allegoria profana della castità e conserva anche nel Medioevo questa simbologia, in riferimento alla verginità di Maria. A questo punto, l’unicorno, nel contesto del dipinto, trova la sua perfetta giustificazione: l’animale, simbolo per eccellenza dell’attesa casta del matrimonio, è in braccio alla giovane sposa a cui attribuire tutte le virtù. In più la creatura mitologica, nota anche come simbolo fallico, diventa ora segnale di prosperità nella vita matrimoniale.
Ma come si costruisce la leggenda intorno a questa creatura simile a un cavallo con gli zoccoli fusi, la barba di una capra e un lungo corno a spirale in mezza alla fronte? Il corno sarebbe, in realtà, la zanna elicoidale di un narvalo maschio, un suo dente canino sporgente, che fu venduto all’epoca in Europa dai marinai scandinavi coscienti dell’enorme valore del prezioso oggetto.
Nell’antichita’ si presumeva che fosse il corno di un Monoceros, una bestia con un solo corno descritta da Plinio il Vecchio come “un animale molto feroce” con il corpo di un cavallo, la testa di cervo, i piedi di elefante e la coda di cinghiale. Il latino per Monoceros è Unicornis, da cui deriva la parola, unicorno che descrive infatti una sorte di rinoceronte.
Durante il Medioevo si ritiene che questo raro ed esotico oggetto, appunto il corno dell’unicorno, abbia poteri magici: purifica qualunque cosa tocchi; può portare l’acqua ad ebollizione; se, immerso in una bevanda o aggiunto al cibo, disintossica dal veleno. Si dice anche che l’unicorno può essere addomesticato e catturato soltanto da una vergine.
Il corno diventa presto un oggetto di prestigio, ambito da principi e Papi (se ne ritrova traccia nell’inventario dei beni del Papa Bonifacio VIII nel 1295). Appunto apprezzato come meraviglia della natura, viene custodito nei tesori ecclesiastici e comunque circondato da tanto mistero. È fra XII e XIII secolo che l’animale mitico raggiunge il suo aspetto “classico”, cioè un candido cavallo dal mento barbato e dagli zoccoli bifidi (due attributi caprini), e con, sulla fronte, un lungo corno a spirale. Sarà allora che il candore dell’animale verrà avvicinato al mondo della simbologia femminile e a quello della vergine stessa.
Nel 700’ il fascino per la mitica bestia si conclude, quando si scopre, con assoluta certezza, la vera natura del suo grande corno bianco. Cade l’incanto. Il suo fascino avrà però una certa ripresa nei secoli posteriori quando tornerà di moda la nostalgia neo romantica di un mondo ideale fatto di improbabili sogni, per essere addirittura ripreso ultimamente in varie espressioni di una frenesia trash: nell’arte di Damien Hirst in varie sue opere; come simbolo per la comunità LGBT, emblema di una diversità che incuriosisce e non fa paura; come tatuaggio sulla natica di Lady Gaga, la nota star della musica; come cavallino nei giocattoli delle bambine e tant’altro. Ma qui mi fermo perché Raffaello e “la Dama con Liocorno”, a questo punto, sono veramente lontani.