Articolo di Carlo Munns, Autore Ospite de La Lampadina
Ai piedi del Campidoglio e di fronte alle maestose rovine dell’Arco di Settimio Severo e del Foro Romano si trova, nascosto nelle profondità della terra, un luogo poco noto dove in realtà sono passati eventi e persone legati a tanti momenti della vita dell’antica Roma e agli albori della storia della Chiesa.
Parliamo del Carcere Mamertino, noto nel tempo anche come Tullianum, una struttura antica di ben 2700 anni, luogo di sofferenza e di morte, nato e sviluppatosi nel tempo come carcere di massima sicurezza per i nemici di Roma.
Secondo lo storico Tito Livio, il Tullianum fu realizzato, sotto Anco Marzio, il quarto re di Roma, nel VII secolo a.C., proprio ai piedi del Campidoglio per una serie di fattori favorevoli. La presenza di alcune antiche mura e di cave di tufo abbandonate, note come Lautumiae, rese il luogo ideale per la costruzione di un carcere.
Inoltre lì accanto, si trovavano le Scalae Gemoniae, le scalinate che portavano dal Foro al Campidoglio e dalle quali spesso venivano gettati i condannati a morte.
E la scelta della posizione di questa prigione rispondeva ad una specifica esigenza politica. Posta ai piedi del Campidoglio e di fronte al Foro, centro della vita pubblica, era un chiaro simbolo di avvertimento per tutti, romani e stranieri, dell’implacabile giustizia di Roma.
In origine esso era riconosciuto come il Tullianum, dal nome di una delle sue celle più profonde, il cui termine viene fatto risalire alla parola latina “tullus”, ovvero polla d’acqua, per la presenza di un sorgente attiva agli inizi nelle sue viscere.
Col tempo il complesso venne riconosciuto anche come Carcere Mamertino dalla parola Mamers, Marte il dio della guerra, nella lingua degli Osci, una popolazione italica pre-romana del Sud d’Italia.
Il Tullianum, come abbiamo detto, era la parte più antica e profonda di questa struttura. Sallustio lo storico romano ne dà una descrizione molto precisa nel suo libro sulla congiura di Catilina scritto nel 40 a.C.
Nel suo resoconto della prigionia e dell’esecuzione dell’ex console Lentulo e di altri congiurati, lo storico narra: “Vi è un luogo nel carcere chiamato Tullianum, sprofondato a circa 12 piedi sottoterra. Esso è chiuso tutto intorno da robuste pareti e al di sopra da un soffitto, costituito da una volta di pietra: il suo aspetto è ripugnante e spaventoso per lo stato di abbandono, l’oscurità e il puzzo”.
Sopra il Tullianum sorse, un secolo dopo, un’altra area denominata Carcer, più volte ristrutturata durante il periodo repubblicano e all’inizio dell’impero. essa fu utilizzata sia come prigione che come luogo di esecuzioni.
Sempre agli inizi dell’impero fu realizzata la grande facciata, in travertino che rese il luogo ben visibile e riconoscibile agli occhi della città, struttura che oggi possiamo vedere sotto il portico antistante la chiesa.
Nell’antica Roma il carcere non aveva la funzione di pena o di recupero di un recluso, ma era semplicemente un luogo dove trattenere un colpevole di un reato in attesa del processo oppure custodire provvisoriamente un condannato alla pena capitale o alle altre pene corporali.
Durante il periodo repubblicano le sentenze di condanna venivano eseguite immediatamente, nell’epoca imperiale, invece, le procedure divennero più complesse per cui poteva passare molto tempo tra la condanna e l’esecuzione.
Per molto tempo si è ritenuto che a Roma esistesse un solo carcere, il Mamertino, ma questo oggi appare poco probabile per una città che arrivò a contare in epoca imperiale un milione di abitanti circa, con reati e crimini giornalieri. Ma certo questo carcere divenne il simbolo di tutte le carceri romane.
E il Tullianum ben presto divenne il luogo dove furono rinchiusi e persero la vita, per strangolamento o decapitazione, i grandi nemici del popolo e dello Stato, i grandi vinti e i grandi traditori di Roma.
Giugurta, già alleato di Roma nella guerra contro Cartagine, nella sua scalata al trono nel 118 a.C. si mette contro Roma, che nel 112 gli dichiara guerra. Egli riesce a tenere a scacco le legioni romane per alcuni anni, ma nel 105 a.C. tradito da uno dei suoi viene consegnato ai romani. Trasferito a Roma, viene gettato nel Tullianum dove morirà di fame.
Nel 63 a.C., momento chiave della vita della Repubblica romana con la cospirazione di Lucio Sergio Catilina, è la volta di Cornelio Lentulus Sura.
Dopo il famoso atto di accusa di Cicerone contro Catilina, quest’ultimo fugge da Roma per recarsi a Fiesole per ricongiungersi con un piccolo esercito di ribelli. È Lentulus a prendere il suo posto come capo dei cospiratori a Roma cercando di portare avanti il piano eversivo.
Ma nel gennaio del 62 Catilina perde la vita nella battaglia contro le legioni romane nei pressi di Pistoia e tutto è perduto. I congiurati vengono arrestati e fatti confessare. Lentulus viene messo a morte nel Tullianum insieme ad altri sostenitori di Catilina.
Qui ha perso la vita, un altro grande nemico di Roma, Vercingetorige, re degli Arverni, influente popolo gallico, che tentò di respingere l’invasione romana, coalizzando la maggioranza dei popoli gallici, vincendo le tradizionali divisioni storiche.
Ma nel 52 a.C. egli è sconfitto da Giulio Cesare nell’assedio di Alesia e viene imprigionato a Roma per cinque anni nel Carcere Mamertino. Solo nel 46 a.C. viene trascinato in catene per ornare la celebrazione del trionfo di Cesare e subito dopo mandato a morte.
Uno degli ultimi personaggi di rilievo che il Carcere ha ospitato è Lucio Elio Seiano, un militare e politico romano, ambizioso amico e confidente dell’imperatore Tiberio. La sua fu una vertiginosa e repentina scalata al potere: ma quando Tiberio nel 27 d.C., ormai sessantasettenne, decide di lasciare Roma per rifugiarsi nella sua villa a Capri, Seiano prende in mano gran parte del potere con l’obiettivo di prendere il trono. L’imperatore comprende il suo piano e nel 31 d.C. lo fa destituire, rinchiudere nel Carcere Mamertino, e qui uccidere per strangolamento.
Ma la vendetta Tiberio non termina qui: permette che il corpo di Seiano sia lasciato al popolo, che ne fa scempio trascinandolo per le strade dell’Urbe e subito dopo si scaglia in maniera terribile su tutta la famiglia e sui suoi amici.
Ma nel Tullianum, secondo la tradizione, vissero anche i loro ultimi giorni prima di essere martirizzati gli Apostoli Pietro e Paolo.
Secondo i testi apocrifi dedicati agli Apostoli, essi furono catturati nello stesso anno e messi insieme nel Carcere Mamertino dedicato ai maggiori nemici di Roma, proprio per la loro posizione di indiscusse figure carismatiche del mondo cristiano.
E durante la loro prigionia essi convertirono e battezzarono due loro carcerieri, Processo e Martiniano ed altri 47 compagni di carcere.
Da questo luogo iniziò il loro viaggio verso il martirio: Pietro verso il Circo di Nerone, nella zona del Colle Vaticano, e Paolo, verso l’Aquae Salviae, sulla via Laurentina.
E per questa ragione che con l’imperatore Costantino all’inizio del IV secolo, questo luogo perde la sua funzione di reclusione e diventa luogo di fede.
Questa trasformazione ha permesso a questo luogo antico, come è accaduto anche con il Pantheon, di rimanere intatto nei secoli, senza il degrado subito da altri monumenti romani.
Nel XVI secolo, sopra il Carcere fu costruita una nuova chiesa dedicata a S. Giuseppe Falegname ed una cappella dedicata al S.mo Crocefisso.
Oggi nella visita al Carcere, ci attende innanzitutto un piccolo museo che raccoglie testimonianze che nel corso dei secoli la pietà cristiana aveva posto proprio nel Tullianum a memoria di Pietro e Paolo, e altri oggetti come vasellame e monete e addirittura gli scheletri di tre persone forse membri di una stessa famiglia ritrovati nel corso della recente campagna di scavi.
Una moderna rampa di scale ci porta nel Carcer, il livello superiore: qui un altare custodisce due reliquiari in bronzo di Pietro e Paolo ed un foro circolare nel pavimento ci ricorda che quella nei primi tempi era l’unica via di accesso al livello inferiore.
Sulla sinistra, una stretta scala permette di scendere al Tullianum, il luogo dove i condannati attendevano il loro destino.
Con il suo basso soffitto e le sue pareti umide, questo luogo, dove venivano stipate decine di persone, ci può dare ancora un’idea delle terribili condizioni nelle quali essi erano costretti.
Ma oggi il luogo non incute più paura e orrore, e in realtà ci trasmette una pace profonda, per gli eventi che esso ha visto: perché qui la Fede ha vinto contro il più potente degli imperi della Storia.
Ho letto con molto interesse l’articolo sul carcere Mamartino e tutte le notizie inerenti alle varie destinazioni nel corso della storia. Grazie!
Uno dei migliori articoli del vostro bellissimo giornale. Circa la citazione in calce – non necessariamente vera in quanto il carcere talora e’ rinascita – mi permetto di ricordare un’altra famosissima frase di Adriano Sofri, apparsa a sua firma su un quotidiano: “Calabresi, sarai suicidato”.
Interessantissimo e ben fatto.