Accade di frequente che un fenomeno sociale che si diffonde con lentezza, nel nostro mondo occidentale disincantato e indifferente venga riconosciuto con grande ritardo. Così il fenomeno dell’hikikomori – dalle parole giapponesi hiku (tirare) e komoru (chiudersi) – viene osservato e definito fin dai primi anni ’80 in Giappone, pur essendo considerato figlio del dopoguerra, ma solo intorno al 2000 si inizia ad osservarlo in Europa (all’inizio soprattutto in Francia) con crescente preoccupazione.
In pratica coloro che chiamiamo hikikomori attuano un graduale ritiro dalle attività sociali, una vera e propria fuga dalla vita di comunità, fino a rinchiudersi nella propria casa e addirittura nelle quattro mura della propria stanza evitando ogni occasione per uscire, salvo l’assoluta necessità di acquistare il necessario per nutrirsi.
Se si ricercano le cause di questo fenomeno sociale che investe principalmente i giovani e i giovanissimi, il pensiero corre sicuramente all’evoluzione che ha subito la società industrializzata; la forte crescita economica, in Giappone come in Europa, chiede ritmi di vita stringenti che non tutti hanno la capacità di mantenere, una corsa al successo personale, un clima competitivo nel quale solo i più forti riescono a emergere, relegando i più a restare in secondo piano, a far parte della massa, a sentirsi perdenti.
Nei giovani, per i quali le gratificazioni sono indispensabili e la speranza nel futuro una ragione di vita, questa corsa in cui si sentono inadeguati e deboli e vedono sparire all’orizzonte i coetanei più strutturati e sicuri di sé, fa calare su di essi, già fragili, un ulteriore peso che con il passare del tempo li rende completamente inermi ed inerti.
Di certo l’ansia sociale, che può insorgere sin dall’età infantile, è una delle cause maggiori di questo fenomeno dei nostri giorni. La depressione può essere conseguenza ma anche concausa (in quanto porta con sé un deficit di autostima) del ritiro sociale di colui che lo attua, il quale spesso ha una intelligenza al di sopra della media ma rivolta specialmente ad osservare se stesso. Potremmo anzi dire che l’adolescente hikikomori inizi ad analizzare ossessivamente se stesso in relazione ai propri rapporti con l’esterno (scuola, gruppo sportivo, amici), catalogando in modo per lui significativo ogni episodio che lo aiuti a “farsi un’idea” di quel mondo che sta iniziando a considerare minaccioso, così da sfuggire le situazioni per lui scomode fino al totale “evitamento” di ogni occasione ansiogena.
L’unica vita per lui possibile, a quel punto, diventa quella che si svolge tra le mura di casa (nei casi estremi, nella propria stanza con porte e finestre chiuse). In molti casi viene addirittura invertito il ritmo sonno-veglia, risultando più facile “vivere” nella serenità e nel silenzio notturno piuttosto che di giorno, quando i rumori esterni o casalinghi suggeriscono sollecitazioni non gradite. L’unica compagnia diventa quella del computer, in particolare dei social networks, e a volte anche quella viene bandita.
Scrivono Stefano Vicari, professore ordinario di neuropsichiatria infantile e Maria Pontillo, psicoterapeuta: “Molti autori hanno evidenziato lo stretto legame tra il ritiro sociale (…) e i social media. Nei casi più gravi (…) i social rappresentano dei veri e propri sostituti del mondo reale, l’unica forma superstite di comunicazione e di relazione”. E lo psicologo Marco Crepaldi sottolinea “la tendenza degli hikikomori a privarsi della socialità diretta per privilegiare quella virtuale”.
Durante la pandemia il fenomeno si è letteralmente ingigantito, ma questo tema richiederebbe un’analisi a sé.
“Hikikomori Italia”, è un progetto di sensibilizzazione sul tema dell’isolamento sociale volontario voluto dal giovane psicologo Marco Crepaldi (2013) e trasformatosi in associazione nazionale (2017). Si portano avanti numerosi progetti come eventi di sensibilizzazione, gruppi di mutuo aiuto per i genitori e diverse collaborazioni con gli enti locali. Dalla loro pagina:
“La sofferenza, il disagio, la demotivazione e l’apatia che affliggono un hikikomori originano da una valutazione fortemente negativa del modello di vita contemporaneo e da una perdita di senso rispetto al perseguimento di tutti quegli obiettivi sociali considerati come necessari e obbligati.”
Negli studi portati avanti dall’associazione viene rilevato un numero sempre crescente di adulti hikikomori, che in Giappone sono ormai un importante problema sociale ed economico (in Italia non esiste ancora una rilevazione in proposito). La differenza con un hikikomori adolescente sta essenzialmente nel fatto che per quest’ultimo esiste una maggiore probabilità di riuscire a modificare questo lato negativo della sua esistenza con una buona terapia cognitivo-comportamentale.
L’adulto hikikomori invece (sempre dal sito dell’associazione) “ha rimuginato in solitaria per anni sulla sua concezione dell’esistenza, cristallizzatasi per l’assenza – ma io direi piuttosto il rifiuto – di prospettive alternative, quindi maggiormente interiorizzata e più difficilmente sradicabile.” Egli ha strutturato negli anni una serie di difese nei confronti del mondo esterno, o almeno di quella parte di mondo che considera sgradita o addirittura inaccettabile. E, probabilmente, in alcuni casi, anche una serie di strategie per rendere la propria solitaria esistenza il più gradevole possibile ed in qualche modo utile a sé e all’umanità che lo circonda.
Fonti:
Stefano Vicari e Maria Pontillo, Adolescenti che non escono di casa, Il Mulino 2022
Marco Crepaldi, Hikikomori, i giovani che non escono di casa, Alpes Italia 2019
Associazione Hikikomori Italia: info@hikikomoriitalia.it, Facebook, Instagram, Youtube
Molto interessante sopratutto aggiornato ai tempi del Covid