Articolo di Emanuele Ludovisi, Autore Ospite de La Lampadina
Sul tavolo quadrato dinanzi al divano del mio studio trovano posto alcuni libri che mi piace di tanto in tanto riaprire e sfogliare. Non sono in realtà semplici opere narrative ma silenziose testimonianze di come la letteratura sia legata da un filo invisibile che racconta le nostre inquietudini e scuote le nostre coscienze.
Nel corso del tempo finisco per aprire e riaprire questi libri e leggere alcune pagine per non dimenticare. Non dimenticare che alcune vite, a differenza di tante altre, traversano la storia accettandone gli incidenti come fatalità inevitabili che vanno affrontate con coraggio. Uno di questi libri è “Dialogo con la morte”, il drammatico resoconto del condannato Koestler che incalzato dagli eventi della storia in cui è rimasto intrappolato, è costretto a confrontarsi con le sue paure riscoprendo i limiti del proprio destino umano.
Per la mia generazione, nata nel dopoguerra e cresciuta nella serena agiatezza borghese distante anni luce dai grandi conflitti che hanno segnato il ‘900, la vita avventurosa e per tratti epica di uno scrittore come Koestler, rappresenta l’esempio di un itinerario esistenziale speso inseguendo i propri ideali senza accettare compromessi.
Koestler nasce a Budapest agli inizi dello scorso secolo in una famiglia ebrea. A poco più di vent’anni abbraccia la causa sionista, lavora in un kibbutz in Palestina e diviene giornalista, poi insegue il mito del comunismo che lo condurrà qualche anno dopo in Spagna, durante la guerra civile, come inviato di un giornale inglese, qui verrà fatto prigioniero per alcuni mesi e condannato alla pena capitale cui riuscirà a sfuggire, vivendo la drammatica esperienza che lo indurrà a scrivere “Dialogo con la morte”.
Infine, dopo aver preso coscienza degli orrori delle purghe staliniane, Koestler diverrà un convinto anti comunista denunciando i pericoli delle dittature figlie del radicalismo cieco con il suo romanzo più celebre: “Il buio a mezzogiorno”.
Sono trascorsi novanta anni, era il 1932, da quando un giovane Koestler, allora appena ventisettenne, intraprende un lungo viaggio nell’Unione sovietica per scrivere un libro a sostegno della politica economica del paese fondata sul metodo dei piani quinquennali. È l’alba nel mondo di una nuova visione incentrata sul dirigismo statalista che dovrà cambiare in modo radicale le condizioni di vita del popolo della sterminata nazione che va dagli Urali al Pacifico. Koestler segue con l’entusiasmo della gioventù il corso intrapreso dall’URSS fiducioso nelle prospettive della costruzione di un mondo privo di ingiustizie fondato innanzitutto sul rispetto della persona umana.
Ma pochi anni dopo, le purghe staliniane lo costringono a un’amara presa di coscienza che lo porterà a una totale revisione critica delle sue infatuazioni giovanili. Koestler scopre come gli ideali, anche i più nobili, finiscano quasi sempre per scontrarsi con le complesse ambiguità dell’animo umano quando questo si confronta con la seduzione del potere.
Koestler non sarà il solo deluso di quella generazione di intellettuali nata all’inizio dello scorso secolo. Un Camus poco più giovane, anche lui sostenitore degli ideali radicali della sinistra, sarà nella maturità costretto a prenderne le distanze dinanzi al brutale esercizio del potere sovietico oramai preda di una furia imperialista che ha messo definitivamente in soffitta il rispetto dei diritti umani: l’unico invalicabile confine di un autentico stato democratico che pone sullo stesso piano la difesa dei diritti dell’individuo e quelli della collettività.
“Il buio a mezzogiorno” la straordinaria opera con cui Koestler denuncerà l’orrore di uno stato dittatoriale guidato da una nomenclatura di potere pronta a tutto per preservare i propri privilegi, esce in lingua inglese nel 1940, l’edizione italiana vedrà la luce nel 1946.
Dall’atto di denuncia di Koestler sono dunque trascorsi oltre ottant’anni e ora il neo imperialismo della Russia di Putin, di tutt’altra natura ideologica rispetto a quello di Stalin, riporta il ‘buio’ in Europa insanguinandola con una guerra senza senso.
L’opera di Arthur Koestler, figlia di un’avventura esistenziale che ha attraversato con coraggio e onestà intellettuale il ‘900, resta una delle più illuminanti testimonianze dei pericoli che nella storia si nascondono sempre dietro a tutti quei leader che conquistano il potere sbandierando in modo opportunistico degli ideali ma che poi restano incapaci di rispettare la dignità umana, privata della libertà e dei diritti civili.
Bravo, l ho letto quando ero ragazzina e mi hai fatto venire voglia di rileggerlo
Antonella