Si sa che nel XV secolo, le Fiandre conoscono un periodo di grande effervescenza economica. È la regione più urbanizzata dell’Europa settentrionale nel XIV e XV secolo. Le sue città e i suoi porti crescono in dimensioni e numero per divenire il principale centro commerciale di tutto il nord Europa, fungendo da punto nodale per i mercanti provenienti dall’Inghilterra, dal Baltico, dall’Italia e dalla Francia. Per questo, in particolare Bruges, Gand ed Anversa, al culmine della loro ricchezza, diventano centri di grande produzione artistica. Attraggono artigiani di ogni tipo, inclusi pittori, produttori di arazzi, miniatori di manoscritti, orafi e scultori in legno e pietra. L’efflorescenza dell’arte quattrocentesca del nord coincide con la ripresa demografica dopo lo shock della peste nera a metà del XIV secolo.
Inoltre, le guerre tra Francia e Inghilterra, che avevano rallentato l’economia fiamminga, si sono gradualmente placate durante questo periodo.
È in questo stimolante contesto che alcuni pittori fiamminghi sperimentano una nuova tecnica rivoluzionaria. Nel 1400 viene introdotto l’uso di un solvente oleoso per mischiare i pigmenti al momento di applicarli sul dipinto.
“Fu una bellissima invenzione e una grande comodità all’arte della pittura il trovare il colorito a olio […] Questa maniera di colorire accende più i colori, né altro bisogna che diligenza e amore, perché l’olio in sé si reca il colorito più morbido, più dolce e dilicato e di unione e di sfumata maniera più facile che li altri […] i colori si mescolano e si uniscono l’uno con l’altro più facilmente; et insomma li artefici danno in questo modo bellissima grazia e vivacità e gagliardezza alle figure loro, talmente che spesso ci fanno parere di rilievo le loro figure e che ell’eschino dalla tavola […]”
Con queste parole Giorgio Vasari accenna alla grandissima attrazione che rappresenta l’uso del nuovo diluente. Certo l’uso dell’olio era già conosciuto prima di allora dagli antichi romani, lo ritroviamo negli scritti di Marco Vitruvio e di Plinio, nel Medioevo, negli scritti del monaco Teofilo (XI sec.) e poi in quelli di Cennino Cennini alla fine del XIV secolo. Comunque, questo procedimento inizia veramente ad essere studiato ed usato in modo sistematico nel Cinquecento e più precisamente in Fiandra con Jan van Eyck che, perfezionando questa «nuova e prodigiosa maniera di colorire», sperimenta un impasto oleo-resinoso, mettendo a punto un nuovo metodo di lavoro che presto adotterà in maniera pressoché esclusiva.
La pittura ad olio di Jan Van Eyck non è esattamente quella che intendiamo oggi. È una sorte di tempera grassa formata dalle stesse terre macinate usate nella tempera, mescolate con l’uovo e incorporate con una sostanza oleosa essicante a base di olio di lino che permette di ottenere una materia fluida. Il colore viene steso per velature, cioè con numerosa sovrapposizione del colore al fine di ottenere un effetto di grande luminosità, dando l’impressione di una luce interiore che aiuta anche a creare toni preziosi con colori decisamente più ricchi. Il lento processo di essiccazione dei colori permette di ottenere una sfumatura molto morbida e una gamma cromatica ampliata grazie al gioco delle trasparenze ottenute sovrapponendo colori diversi. Ciò crea un grande impatto visivo con effetti brillanti come se fossero vivi.
Nasce un nuovo tipo pittorico ricco di dettagli di grande precisione con uno stile molto analitico. L’arte fiorisce intorno a questa nuova ricchezza pittorica. Tra l’altro una volta asciutti, i colori impastati con l’olio si mantengono nel tempo e rimangono pressoché inalterati nei valori cromatici. Verrà adottato molto presto un supporto su tela più che su tavola, nell’intento di facilitarne il trasporto e la manutenzione.
È con l’acquisto di opere degli artisti fiamminghi da parte dei numerosi mercanti toscani e dai banchieri fiorentini presenti nelle ricche città del nord, soprattutto a Bruges, sede della più importante filiale della banca dei Medici, che diversi artisti italiani entrano in contatto con l’arte nuova.
Alcuni mecenati come gli Arnolfini, originari di Lucca, i genovesi Giustiniani nonché Battista Lomellini, appartenenti alla colonia di mercanti stabilita a Bruges ordinarono opere importanti arrivate fino a noi.
Di questa tecnica del dipingere con un solvente oleoso, la penisola italiana ne fa piano piano tesoro. Verso la metà del ‘400 si intensificano scambi reciproci tra la cultura artistica fiamminga e quella delle varie corti signorili italiane.
A Urbino, Napoli, Firenze, Roma e anche Venezia, alcuni artisti si cimentano con il nuovo. Antonello da Messina, insieme a Piero della Francesca, Filippo Lippi, Beato Angelico, Domenico Veneziano, il Pollaiolo fino a Botticelli, Leonardo e Raffaello adotteranno la nuova tecnica ad olio, interpretandola con grande originalità contribuendo a rendere la penisola italiana un luogo di grandi novità, il centro di irraggiamento del nuovo Rinascimento.
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